giovedì 27 settembre 2012

la nascita dei giardini di Versailles da "Il re Sole" di Guido Gerosa

Il più bello dei palazzi doveva assolutamente dotarsi di parchi e giardini insuperabili. Luigi XIV aveva fatto di Le Vau il suo primo architetto, di Le Brun il suo primo pittore e trovò in André Le Notre (1613-1700) il suo primo giardiniere, l'ideatore e disegnatore dei parchi di Versailles. André, nipote di Pierre Le Notre, giardiniere delle Tuileries a fine Cinquecento, e figlio di Jean Le Notre, capo giardiniere di Luigi XIII, diventò il poeta dei giardini a metà del secolo.
Esordì col parco di Vaux-le-Vicomte, poi aprì la seconda fase della sua storia artistica e realizzò il suo capolavoro immortale a Versailles. Le Notre era assai sensibile alle esigenza della scienza, adattò mirabilmente la sua creazione alle nuove scoperte delle leggi dell'ottica e dell'idraulica, studiò le proprietà delle acque e dell'atmosfera e fece meraviglie mai viste. A Versailles introdusse fontane di sogno come Le Grandes Eaux, arrivò a trapiantare intere foreste dalla Normandia e dalle Fiandre e si fece mandare 50.000 bulbi da Costantinopoli, il regno orientale dei fiori.
Per preparare i giardini mosse addirittura l'esercito. Le Guardie Svizzere scavarono il lago monumentale che porta il loro nome. E' un bacino smisurato, più grande di place de la Concorde.
Le opere di costruzione proseguirono tra scontri di asprezza inenarrabile. Gli addetti supplicarono più volte il sovrano di lasciar loro abbattere il padiglione di caccia di Luigi XIII. Quell'edificio pericolante impediva il loro lavoro. Il re rispose seccato:"Se per qualsiasi caso il padiglione sparisse, dovrei farlo ricostruire mattone su mattone. Immaginate se ve lo lascio buttar giù":"Distrugge tutta la vista"piansero desolati i cortigiani.
Ma qualcuno era assai duro con la creazione del re. Saint-Simon, il nemico giurato di Luigi XIV nei suoi Memoires,ne dà un giudizio feroce, che riportiamo integralmente:
Saint-Germain, luogo unico per raccogliere le meraviglie della vista, con gli incanti e le comodità della Senna, infine una città tutta fatta e la cui posizione intratteneva da sola, Luigi XIV l'abbandonò per Versailles, il più triste e più ingrato di tutti i luoghi, senza vita, senza boschi, senz'acqua, senza terra, perchè tutto vi è sabbia mobile o acquitrino, di conseguenza senz'aria, il che non può essere buono.
Il re si compiacque di tiranneggiare la natura, di domarla a forza d'arte e di tesori. Vi costruì di tutto, una cosa dopo l'altra, senza disegno generale. Il bello e il brutto vi furono cacciati insieme, il vasto e lo strangolato. Il suo appartamento e quello della regina vi hanno le ultime scomodità, con le viste dei gabinetti e delle stanze dietro, le più oscure, le più segregate, le più puzzolenti. I giardini, la cui magnificenza sbalordisce, ma il cui più piccolo uso scoraggia e disgusta, sono di pessimo gusto. Vi si è condotti nel fresco dell'ombra da una vasta zona torrida, alla fine della quale non c'è da salire o da scendere. Con la collina, che è brevissima, finiscono i giardini.
Il taglio brucia i piedi. Ma senza di esso ci s'immergerebbe qua nelle sabbie e là nel più nero fango. La violenza ch'è stata fatta dappertutto alla natura respinge e disgusta nostro malgrado. L'abbondanza delle acque forzate e raccolte da ogni parte le rende verdi, spesse, melmose. Spandono un'umidità malsana e sensibile, un odore che lo è ancora di più. I loro effetti sono incomparabili.Da tutto questo risulta che si ammira e si fugge quel capolavoro così rovinoso e di cattivo gusto.
Così lamenta il maligno Saint-Simon. Scrive Madame de Sévigné in una sua lettera alla figlia:Una grande mortalità affligge gli operai: Ogni notte carichi di morti sono portati via come da un ospedale durante una pestilenza. Queste melanconiche processioni sono tenute segrete il più possibile. Per non allarmare gli altri operai.
Primi Visconti, nei suoi "Memoires sur la Cour de Louis XIV", commenta: L'aria qui è pessima. Le acque putride la infettano al punto che d'agosto tutti si ammalano. Ma il re follemente insiste a vivere qui come se fosse un paradiso.







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