fotografie Piero Reggio |
sabato 30 giugno 2012
venerdì 29 giugno 2012
un regalo
giovedì 28 giugno 2012
ancora su George Sand da "Torri d'avorio " di G. Scaraffia ed Excelsior 1881 DEDICATO A ZIA DELINA CHE HA RECUPERATO CON AFFETTO LE CARE COSE DELLA FAMIGLIA E HA RIDATO LORO UNA NUOVA VITA
... Ci si ritrovava alle dieci nella sala da pranzo aperta sul giardino.
Solo le vivaci tinte delle ceramiche appese alle pareti mitigavano la severa eleganza delle boiseries e del pavimento bianco e nero.
Le vetrine, nelle due nicchie della stanza, ospitavano ricordi di viaggio, busti e terracotte. I vassoi venivano appoggiati su semplicissime consoles grigie. Rustiche panche settecentesche, la paglia coperta da un basso cuscino fiorato, erano appoggiate alle pareti. Le sedie Luigi XVI, foderate di velluto stampato, circondavano il modesto tavolo addobbato dall'ampia tovaglia bianca fregiata dal piccolo stemma rosso del maresciallo di Saxe. L'argenteria di famiglia si sposava senza sforzo ai modesti servizi a fiori. "Tengo solo alle cose che mi vengono dalle persone amate. Allora ne sono avara, malgrado valgano poco..."
Solo le vivaci tinte delle ceramiche appese alle pareti mitigavano la severa eleganza delle boiseries e del pavimento bianco e nero.
Le vetrine, nelle due nicchie della stanza, ospitavano ricordi di viaggio, busti e terracotte. I vassoi venivano appoggiati su semplicissime consoles grigie. Rustiche panche settecentesche, la paglia coperta da un basso cuscino fiorato, erano appoggiate alle pareti. Le sedie Luigi XVI, foderate di velluto stampato, circondavano il modesto tavolo addobbato dall'ampia tovaglia bianca fregiata dal piccolo stemma rosso del maresciallo di Saxe. L'argenteria di famiglia si sposava senza sforzo ai modesti servizi a fiori. "Tengo solo alle cose che mi vengono dalle persone amate. Allora ne sono avara, malgrado valgano poco..."
mercoledì 27 giugno 2012
una " casalinga " George Sand nel castello di Nohant da : Torri d'avorio di G. Scaraffia ed Excelsior 1881
...
Aranci, limoni, fucsie e melograni circondavano la terrazza, mentre rose e clematidi bianche seguivano i muri esterni. George aveva arricchito assiduamente il parco settecentesco. Amava e conosceva le piante che sorvegliava ogni giorno. A tutte preferiva quelle più umili, che le piacevano per la loro semplicità. "Confesso che le lettere non mi danno nemmeno metà del piacere offertomi dalla vanga...vorrei scordare di essere stata uno scrittore e tuffarmi nella vita fisica."
Per arrivare al primo piano bisognava prendere la sobria scala di pietra che s'ondulava sinuosamente verso l'alto, tra cielo di nubi rosa e azzurre dipinti da Maurice.
Piccoli personaggi mitologici danzavano nei medaglioni bianchi occhieggianti dalla stoffa azzurra che tappezzava la camera da letto Impero di George, scendendo in volute pieghettate dal baldacchino. Si era trasferita in quella stanza solo nel 1867, lasciando quella più vasta, che aveva occupato fin dal 1836. Tra alcune sedie Luigi XVI e una valigia chiodata, il calamaio, su un tavolino nascosto da un tappeto, era pronto ad accogliere ulteriori ispirazioni. Era stata la Sand a cucire le tende e le trapunte, piantando i chiodi che trattenevano la tappezzeria. La scrittrice amava la vita domestica, che restava per lei un dolce ancoraggio al mondo reale, dopo le scorribande interiori. L'uncinetto, i ricami e le marmellate scandivano le sue ore di riposo.
Aranci, limoni, fucsie e melograni circondavano la terrazza, mentre rose e clematidi bianche seguivano i muri esterni. George aveva arricchito assiduamente il parco settecentesco. Amava e conosceva le piante che sorvegliava ogni giorno. A tutte preferiva quelle più umili, che le piacevano per la loro semplicità. "Confesso che le lettere non mi danno nemmeno metà del piacere offertomi dalla vanga...vorrei scordare di essere stata uno scrittore e tuffarmi nella vita fisica."
Per arrivare al primo piano bisognava prendere la sobria scala di pietra che s'ondulava sinuosamente verso l'alto, tra cielo di nubi rosa e azzurre dipinti da Maurice.
Piccoli personaggi mitologici danzavano nei medaglioni bianchi occhieggianti dalla stoffa azzurra che tappezzava la camera da letto Impero di George, scendendo in volute pieghettate dal baldacchino. Si era trasferita in quella stanza solo nel 1867, lasciando quella più vasta, che aveva occupato fin dal 1836. Tra alcune sedie Luigi XVI e una valigia chiodata, il calamaio, su un tavolino nascosto da un tappeto, era pronto ad accogliere ulteriori ispirazioni. Era stata la Sand a cucire le tende e le trapunte, piantando i chiodi che trattenevano la tappezzeria. La scrittrice amava la vita domestica, che restava per lei un dolce ancoraggio al mondo reale, dopo le scorribande interiori. L'uncinetto, i ricami e le marmellate scandivano le sue ore di riposo.
martedì 26 giugno 2012
ROSA CHE TRASFIGURA (RAINER MARIA RILKE 1875-1926)
NON PARLERO' DI TE.SEI L'INEFFABILE,
QUESTA E' LA TUA NATURA.
ALTRI FIORI ADORNANO LA TAVOLA
CHE GRAZIE A TE SI TRASFIGURA.
SE TI SI METTE UN QUALUNQUE VASO,
LE COSE APPAIONO MUTATE:
SARANNO FORSE LE STESSE NOTE,
MA DA UN ANGELO CANTATE.
QUESTA E' LA TUA NATURA.
ALTRI FIORI ADORNANO LA TAVOLA
CHE GRAZIE A TE SI TRASFIGURA.
SE TI SI METTE UN QUALUNQUE VASO,
LE COSE APPAIONO MUTATE:
SARANNO FORSE LE STESSE NOTE,
MA DA UN ANGELO CANTATE.
lunedì 25 giugno 2012
ancora la Torino di Guido Gozzano :TORINO
I
Quante volte tra i fiori, in terre gaie,
sul mare, tra il cordame dei velieri,
sognavo le tue nevi, i tigli neri,
le dritte vie corrusche di rotaie,
l'arguta grazia delle tue crestaie,
o città favorevole ai piaceri!
E quante volte già, nelle mie notti
d'esilio, resupino a cielo aperto,
sognavo sere torinesi, certo
ambiente caro a me, certi salotti
beoti assai, pettegoli, bigotti
come ai tempi del buon Re Carlo Alberto...
"...se 'l Cont ai ciapa ai rangia per le rime..."
"Ch'a staga ciuto..." - "L caso a l'è stupendo!..."
"E la Duse ci piace?" . "Oh! Mi m'antendo
pà vaire ...I nego pà, sarà sublime,
ma mi a teatro i vad per divertime..."
"Ch'a staga ciuto!...A jntra 'l Reverendo!..."
S'avanza un Barnabita, lentamente...
stringe la mano alla Contessa amica,
siede col gesto di chi benedica...
Ed il poeta, tacito ed assente,
si gode quell'accolita di gente
ch'à la tristezza d'una stampa antica...
Non soffre. Ama quel mondo senza raggio
di bellezza, ove cosa di trastullo
è l'Arte. Ama quei modi e quel linguaggio
e quell'ambiente sconsolato e brullo.
Non soffre. Pensa Giacomo fanciullo
e la "siepe" e il "natio borgo selvaggio".
II
Come una stampa antica bavarese
vedo al tramonto il cielo subalpino...
Da Palazzo Madama al Valentino
ardon l'Alpi tra le nubi accese...
E' questa l'ora antica torinese,
è questa l'ora vera di Torino...
L'ora che io dissi del Risorgimento.
l'ora in cui penso a Massimo d'Azeglio
adolescente, a I miei ricordi e sento
d'essere nato troppo tardi... Meglio
vivere al tempo sacro del risveglio,
che al tempo nostro mite e sonnolente!
III
Un pò vecchiotta, provinciale, fresca
tuttavia d'un tal garbo parigino,
in te ritrovo me stesso bambino,
ritrovo la mia grazia fanciullesca
e mi sei cara come la fantesca
che m'ha veduto nascere, o Torino!
Tu m'hai veduto nascere, indulgesti
ai sogni del fanciullo trasognato:
tutto me stesso, tutto il mio passato
i miei ricordi più teneri e mesti
dormon in te, sepolti come vesti
sepolte in un armadio canforato.
L'infanzia remotissima... la scuola...
la pubertà... la giovinezza accesa...
i pochi amori pallidi... l'attesa
delusa... il tedio che non ha parola...
la Morte e la mia Musa con sè sola,
sdegnosa, taciturna ed incompresa.
IV
Ch'io perseguendo mie chimere vane
pur t'abbandoni e cerchi altro soggiorno,
ch'io pellegrini verso il Mezzogiorno
a belle terre tepide lontane,
la metà di se stesso in te rimane
e mi ritrovo ad ogni mio ritorno.
A te ritorno quando si rabbuia
il cuor deluso da mondani fasti:
Tu mi consoli, tu che mi foggiasti
quest'anima borghese e chiara e buia
dove ride e singhiozza il tuo Gianduia
che teme gkli orizzonti troppo vasti...
Eviva i bogianen... Sì, dici bene,
o mio savio Gianduia ridarello!
Buona è la vita senza foga, bello
goder di cose piccole e serene...
A l'è question d'nen piessla... Dici bene
o mio savio Gianduia ridarello!...
Quante volte tra i fiori, in terre gaie,
sul mare, tra il cordame dei velieri,
sognavo le tue nevi, i tigli neri,
le dritte vie corrusche di rotaie,
l'arguta grazia delle tue crestaie,
o città favorevole ai piaceri!
E quante volte già, nelle mie notti
d'esilio, resupino a cielo aperto,
sognavo sere torinesi, certo
ambiente caro a me, certi salotti
beoti assai, pettegoli, bigotti
come ai tempi del buon Re Carlo Alberto...
"...se 'l Cont ai ciapa ai rangia per le rime..."
"Ch'a staga ciuto..." - "L caso a l'è stupendo!..."
"E la Duse ci piace?" . "Oh! Mi m'antendo
pà vaire ...I nego pà, sarà sublime,
ma mi a teatro i vad per divertime..."
"Ch'a staga ciuto!...A jntra 'l Reverendo!..."
S'avanza un Barnabita, lentamente...
stringe la mano alla Contessa amica,
siede col gesto di chi benedica...
Ed il poeta, tacito ed assente,
si gode quell'accolita di gente
ch'à la tristezza d'una stampa antica...
Non soffre. Ama quel mondo senza raggio
di bellezza, ove cosa di trastullo
è l'Arte. Ama quei modi e quel linguaggio
e quell'ambiente sconsolato e brullo.
Non soffre. Pensa Giacomo fanciullo
e la "siepe" e il "natio borgo selvaggio".
II
Come una stampa antica bavarese
vedo al tramonto il cielo subalpino...
Da Palazzo Madama al Valentino
ardon l'Alpi tra le nubi accese...
E' questa l'ora antica torinese,
è questa l'ora vera di Torino...
L'ora che io dissi del Risorgimento.
l'ora in cui penso a Massimo d'Azeglio
adolescente, a I miei ricordi e sento
d'essere nato troppo tardi... Meglio
vivere al tempo sacro del risveglio,
che al tempo nostro mite e sonnolente!
III
Un pò vecchiotta, provinciale, fresca
tuttavia d'un tal garbo parigino,
in te ritrovo me stesso bambino,
ritrovo la mia grazia fanciullesca
e mi sei cara come la fantesca
che m'ha veduto nascere, o Torino!
Tu m'hai veduto nascere, indulgesti
ai sogni del fanciullo trasognato:
tutto me stesso, tutto il mio passato
i miei ricordi più teneri e mesti
dormon in te, sepolti come vesti
sepolte in un armadio canforato.
L'infanzia remotissima... la scuola...
la pubertà... la giovinezza accesa...
i pochi amori pallidi... l'attesa
delusa... il tedio che non ha parola...
la Morte e la mia Musa con sè sola,
sdegnosa, taciturna ed incompresa.
IV
Ch'io perseguendo mie chimere vane
pur t'abbandoni e cerchi altro soggiorno,
ch'io pellegrini verso il Mezzogiorno
a belle terre tepide lontane,
la metà di se stesso in te rimane
e mi ritrovo ad ogni mio ritorno.
A te ritorno quando si rabbuia
il cuor deluso da mondani fasti:
Tu mi consoli, tu che mi foggiasti
quest'anima borghese e chiara e buia
dove ride e singhiozza il tuo Gianduia
che teme gkli orizzonti troppo vasti...
Eviva i bogianen... Sì, dici bene,
o mio savio Gianduia ridarello!
Buona è la vita senza foga, bello
goder di cose piccole e serene...
A l'è question d'nen piessla... Dici bene
o mio savio Gianduia ridarello!...
domenica 24 giugno 2012
una sentimentale e frivola Torino inizio Novecento : LE GOLOSE di Guido Gozzano
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
Signore e signorine -
le dita senza guanto -
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!
Perchè niun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.
C'è quella che s'informa
pensosa della scelta,
quella che toglie svelta,
nè cura tinta o forma.
L'una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.
Un'altra - il dolce crebbe -
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!
Un'altra, con bell'arte,
sugge la punta estrema:
invano! chè la crema
esce dall'altra parte!
L'una, senz'abbadare
a giovine che adocchi
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare
sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D'Annunzio.
Fra quegli aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!
Perchè non m'è concesso-
o legge inopportuna!-
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
(Torino, confetteria Baratti)
che mangiano le paste nelle confetterie.
Signore e signorine -
le dita senza guanto -
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!
Perchè niun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.
C'è quella che s'informa
pensosa della scelta,
quella che toglie svelta,
nè cura tinta o forma.
L'una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.
Un'altra - il dolce crebbe -
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!
Un'altra, con bell'arte,
sugge la punta estrema:
invano! chè la crema
esce dall'altra parte!
L'una, senz'abbadare
a giovine che adocchi
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare
sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D'Annunzio.
Fra quegli aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!
Perchè non m'è concesso-
o legge inopportuna!-
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
(Torino, confetteria Baratti)
sabato 23 giugno 2012
AD LIBITUM
"Ad libitum"
Come una canzone
dal lungo Gesso a guardar le colline
ai pesci rossi
dei giardini.
Dal viale Angeli
colori e foglie tremule
al parco dei Caduti
con il grande respiro
delle nuvole e della Bisalta.
Fatale è l'itinerario.
"Ad libitum"
Come vuole il Signore.
I colori arderanno
come ala migrerò.
Come una canzone
dal lungo Gesso a guardar le colline
ai pesci rossi
dei giardini.
Dal viale Angeli
colori e foglie tremule
al parco dei Caduti
con il grande respiro
delle nuvole e della Bisalta.
Fatale è l'itinerario.
"Ad libitum"
Come vuole il Signore.
I colori arderanno
come ala migrerò.
fotografia Piero Reggio |
venerdì 22 giugno 2012
FRUTTI DA MANGIARE da :" Un eremo non è un guscio di lumaca" di Adriana Zarri ed Einaudi
Un frutto non è soltanto un frutto: è un'offerta del mondo. Mangiandolo si mangia sole, si mangia luce, si mangia vento, si mangiano le prime nebbie di settembre che ne hanno fatto rabbrividire la buccia, prima che si cogliesse. Si mangia il tepore della paglia - se è un frutto invernale - su cui è stato posto a maturare. Si mangia la terra, la zappa, la cesoia, la fatica e l'abilità dell'uomo. Naturalmente non è necessario pensare esplicitamente tutto questo : è un messaggio che arriva in modo implicito e confuso, ma vitale; e noi lo avvertiamo nel diverso "sapore psicologico" : di lieta sorpresa imprevista e di acerba gratuità nel frutto selvatico del bosco, di matura pienezza nel frutto coltivato nell'orto; di acerbità primaticcia nei primi frutti della primavera, di gonfia maturità nei frutti estivi, di opulenta stanchezza, già venata di freddo, nei doni tardi dell'autunno, fino all'irsuto riccio del castagno che ha già sapore di fuoco. Tutto questo crea un clima, di cui dobbiamo essere in ascolto. Ed ecco che mangiare un frutto significa mettersi in contatto con la natura, comunicare, assimilare una porzione di mondo: da fatto brutalmente biologico sale ad atto contemplativo.
fotografia Piero Reggio |
giovedì 21 giugno 2012
LARGO (ANTONIA POZZI 1912-1938)
O LASCIATE LASCIATE CHE IO SIA
UNA COSA DI NESSUNO
PER QUESTE VECCHIE STRADE
IN CUI LA SERA AFFONDA-
O LASCIATE LASCIATE CH'IO MI PERDA
OMBRA NELL'OMBRA -
GLI OCCHI
DUE COPPE ALZATE
VERSO L'ULTIMA LUCE-
E NON CHIEDETEMI - NON CHIEDETEMI
QUELLO CHE VOGLIO
E QUELLO CHE SONO
SE PER ME NELLA FOLLA E' IL VUOTO
E NEL VUOTO L'ARCANA FOLLA
DEI MIEI FANTASMI -
E NON CERCATE - NON CERCATE
QUELLO CH'IO CERCO
SE L'ESTREMO PALLORE DEL CIELO
M'ILLUMINA LA PORTA DI UNA CHIESA
E MI SOSPINGE A ENTRARE -
NON DOMANDATEMI SE PREGO
E CHI PREGO
E PERCHE' PREGO-
IO ENTRO SOLTANTO
PER AVERE UN PO' DI TREGUA
E UNA PANCA E IL SILENZIO
IN CUI PARLINO LE COSE SORELLE -
POI CH'IO SONO UNA COSA -
UNA COSA DI NESSUNO
CHE VA PER LE VECCHIE VIE DEL SUO MONDO -
GLI OCCHI
DUE COPPE ALZATE
VERSO L'ULTIMA LUCE -
UNA COSA DI NESSUNO
PER QUESTE VECCHIE STRADE
IN CUI LA SERA AFFONDA-
O LASCIATE LASCIATE CH'IO MI PERDA
OMBRA NELL'OMBRA -
GLI OCCHI
DUE COPPE ALZATE
VERSO L'ULTIMA LUCE-
E NON CHIEDETEMI - NON CHIEDETEMI
QUELLO CHE VOGLIO
E QUELLO CHE SONO
SE PER ME NELLA FOLLA E' IL VUOTO
E NEL VUOTO L'ARCANA FOLLA
DEI MIEI FANTASMI -
E NON CERCATE - NON CERCATE
QUELLO CH'IO CERCO
SE L'ESTREMO PALLORE DEL CIELO
M'ILLUMINA LA PORTA DI UNA CHIESA
E MI SOSPINGE A ENTRARE -
NON DOMANDATEMI SE PREGO
E CHI PREGO
E PERCHE' PREGO-
IO ENTRO SOLTANTO
PER AVERE UN PO' DI TREGUA
E UNA PANCA E IL SILENZIO
IN CUI PARLINO LE COSE SORELLE -
POI CH'IO SONO UNA COSA -
UNA COSA DI NESSUNO
CHE VA PER LE VECCHIE VIE DEL SUO MONDO -
GLI OCCHI
DUE COPPE ALZATE
VERSO L'ULTIMA LUCE -
fotografia Piero Reggio |
mercoledì 20 giugno 2012
PER UN BEL GIORNO (Attilio Bertolucci )
martedì 19 giugno 2012
considerazioni estetiche e riflessioni sull'uomo davanti ad un quadro : di ROBERT WALSER (1878-1956) DA "RITRATTI DI PITTORI" ED. ADELPHI
Alcuni anni fa, a una mostra di pittura, vidi un quadro in certo senso mozzafiato e prezioso, l'ARLESIANA di Van Gogh, il ritratto d'una popolana nient'affatto graziosa, non essendo più giovane, seduta su una sedia in silenzio e con lo sguardo grave a un punto vicino. Ella indossa un vestito come se ne vedono tutti i giorni, e ha mani come se ne incontrano ovunque senza badarvi, perchè non sembrano in alcun modo essere belle. Anche il semplice nastro fra i capelli non cambia di molto le cose. Il viso della donna è duro. I tratti del volto parlano di molte esperienze che hanno lasciato il loro segno.
Confesso di buon grado che il quadro, che mi appare ovviamente un notevole lavoro, in verità io volevo considerarlo soltanto di sfuggita, all'inizio, per proseguire il prima possibile ed esaminare altri soggetti, ma alcunchè di strano mi aveva come trattenuto per il braccio. Mentre andavo domandandomi cosa vi fosse di bello da vedere, mi persuadevo che bisognava commiserare l'artista, il quale aveva profuso tanto impegno per una cosa talmente da poco e priva di grazia. Mi chiesi se mai avrei voluto possedere il quadro;non osai , però, rispondere con un sì o un no all'insolito quesito.In più mi posi un'altra domanda, sulle prime semplice e a parer mio non proprio ingiustificata, se per quadri come questa ARLESIANA potesse mai esistere nella nostra società un posto adeguato. Per lavori di tale natura non poteva certo esservi nessun committente ; piuttosto, fu senza dubbio l'artista a darsi l'incarico da sè, e allora ha dipinto quel che forse nessun uomo vorrebbe raffigurare. Chi mai avrebbe interesse ad appendersi in camera un quadro dal soggetto così ordinario. "Donne magnifiche"dissi fra me"sono state dipinte da Tiziano, Rubens e Lucas Cranach",e mentre lo dicevo, il nostro artista, certo più incline alla sofferenza che alla gioia, e questa nostra epoca, per alcuni versi difficile e buia, mi fecero in qualche modo male. E' chiaro che il mondo, come corre voce, continuerà ad essere bello, altrochè, e le più rosee speranze continueranno a fiorire. Che alcune circostanze, intanto, siano alla fin fine opprimenti, nessuno lo metterebbe in dubbio. Benchè vivesse attorno al quadro di Van Gogh qualcosa di triste o di penoso - tutte le dure condizioni di vita, pur se poco nitide, emergono comunque con sufficiente chiarezza, a lato o dietro di essa -,io ne traevo nondimeno gioia, perchè il dipinto è una sorta di capolavoro. Colore e pennellata sono di forza straordinaria, e la realizzazione è eccellente. Il quadro contiene fra l'altro un meraviglioso tocco di rosso dal movimento incantevole. L'insieme , però, possiede una bellezza intima più che esteriore. Non vi sono forse anche certi libri che non incontrano subito consenso perchè ardui, ossia perchè è difficile attribuire loro un valore?Talvolta le cose belle non si manifestano che in modo incompleto. Il quadro di Van Gogh ebbe su di me l'effetto d'un racconto in piena regola. Di punto in bianco la donna prese a parlare della sua vita.Un tempo era stata bambina e andava a scuola. Com'è bello vedere ogni giorno i propri genitori ed essere avviati dagli insegnanti ai saperi più di diversi. Com'erano gaie e luminose le aule e l'amicizia con le compagne di giochi. Com'è dolce, com'è lieta la gioventù!Questi tratti duri erano un tempo dolci, questi occhi freddi , quasi cattivi, erano gentili e innocenti. In nulla lei era diversa da te. Non meno ricca di speranze, non meno povera. Un essere umano come tutti noi, e i suoi piedi la portavano lungo tante strade illuminate dal giorno o buie per la notte. Spesso sarà anche andata in chiesa o a ballare. Quante volte , con le mani, non avrà aperto una finestra o serrato una porta? Queste e altre cose simili le facciamo sia tu che io ogni giorno, vero?, in ciò vi è ben poco d'importante, ma anche una certa grandezza. Non può aver avuto un amore, non avrà forse conosciuto la gioia e molte preoccupazioni? Prestava ascolto al suono delle campane e con gli occhi percepiva la bellezza dei rami in fiori. Per lei passarono i mesi, gli anni , l'estate, l'inverno. Non è di una semplicità formidabile? La sua vita fu piena di fatica. Un giorno un pittore, anch'egli solo un povero diavolo fantasioso, le disse che desiderava ritrarla. Ella posa, si lascia fare il dipinto con pazienza. Per lui non è una modella indifferente; giacchè nessuna figura gli risulta indifferente. La ritrae così com'è, schietta e vera. Pur non voluto del tutto, qualcosa di grande ed elevato entra nel quadro, una solennità di spirito che è impossibile non vedere.
Confesso di buon grado che il quadro, che mi appare ovviamente un notevole lavoro, in verità io volevo considerarlo soltanto di sfuggita, all'inizio, per proseguire il prima possibile ed esaminare altri soggetti, ma alcunchè di strano mi aveva come trattenuto per il braccio. Mentre andavo domandandomi cosa vi fosse di bello da vedere, mi persuadevo che bisognava commiserare l'artista, il quale aveva profuso tanto impegno per una cosa talmente da poco e priva di grazia. Mi chiesi se mai avrei voluto possedere il quadro;non osai , però, rispondere con un sì o un no all'insolito quesito.In più mi posi un'altra domanda, sulle prime semplice e a parer mio non proprio ingiustificata, se per quadri come questa ARLESIANA potesse mai esistere nella nostra società un posto adeguato. Per lavori di tale natura non poteva certo esservi nessun committente ; piuttosto, fu senza dubbio l'artista a darsi l'incarico da sè, e allora ha dipinto quel che forse nessun uomo vorrebbe raffigurare. Chi mai avrebbe interesse ad appendersi in camera un quadro dal soggetto così ordinario. "Donne magnifiche"dissi fra me"sono state dipinte da Tiziano, Rubens e Lucas Cranach",e mentre lo dicevo, il nostro artista, certo più incline alla sofferenza che alla gioia, e questa nostra epoca, per alcuni versi difficile e buia, mi fecero in qualche modo male. E' chiaro che il mondo, come corre voce, continuerà ad essere bello, altrochè, e le più rosee speranze continueranno a fiorire. Che alcune circostanze, intanto, siano alla fin fine opprimenti, nessuno lo metterebbe in dubbio. Benchè vivesse attorno al quadro di Van Gogh qualcosa di triste o di penoso - tutte le dure condizioni di vita, pur se poco nitide, emergono comunque con sufficiente chiarezza, a lato o dietro di essa -,io ne traevo nondimeno gioia, perchè il dipinto è una sorta di capolavoro. Colore e pennellata sono di forza straordinaria, e la realizzazione è eccellente. Il quadro contiene fra l'altro un meraviglioso tocco di rosso dal movimento incantevole. L'insieme , però, possiede una bellezza intima più che esteriore. Non vi sono forse anche certi libri che non incontrano subito consenso perchè ardui, ossia perchè è difficile attribuire loro un valore?Talvolta le cose belle non si manifestano che in modo incompleto. Il quadro di Van Gogh ebbe su di me l'effetto d'un racconto in piena regola. Di punto in bianco la donna prese a parlare della sua vita.Un tempo era stata bambina e andava a scuola. Com'è bello vedere ogni giorno i propri genitori ed essere avviati dagli insegnanti ai saperi più di diversi. Com'erano gaie e luminose le aule e l'amicizia con le compagne di giochi. Com'è dolce, com'è lieta la gioventù!Questi tratti duri erano un tempo dolci, questi occhi freddi , quasi cattivi, erano gentili e innocenti. In nulla lei era diversa da te. Non meno ricca di speranze, non meno povera. Un essere umano come tutti noi, e i suoi piedi la portavano lungo tante strade illuminate dal giorno o buie per la notte. Spesso sarà anche andata in chiesa o a ballare. Quante volte , con le mani, non avrà aperto una finestra o serrato una porta? Queste e altre cose simili le facciamo sia tu che io ogni giorno, vero?, in ciò vi è ben poco d'importante, ma anche una certa grandezza. Non può aver avuto un amore, non avrà forse conosciuto la gioia e molte preoccupazioni? Prestava ascolto al suono delle campane e con gli occhi percepiva la bellezza dei rami in fiori. Per lei passarono i mesi, gli anni , l'estate, l'inverno. Non è di una semplicità formidabile? La sua vita fu piena di fatica. Un giorno un pittore, anch'egli solo un povero diavolo fantasioso, le disse che desiderava ritrarla. Ella posa, si lascia fare il dipinto con pazienza. Per lui non è una modella indifferente; giacchè nessuna figura gli risulta indifferente. La ritrae così com'è, schietta e vera. Pur non voluto del tutto, qualcosa di grande ed elevato entra nel quadro, una solennità di spirito che è impossibile non vedere.
lunedì 18 giugno 2012
un affettuoso ritratto di uomo semplice e sereno. A MIO PADRE di Leonardo Sinisgalli
L'uomo che torna solo
a tarda sera dalla vigna
scuote le rape nella vasca
sbuca dal viottolo con la paglia
macchiata di verderame.
L'uomo che porta così fresco
terriccio sulle scarpe, odore
di fresca sera nei vestiti
si ferma a una fonte, parla
con l'ortolano che sradica i finocchi.
E' un uomo, un piccolo uomo
ch'io guardo di lontano.
E' un punto vivo all'orizzonte.
Forse la sua pupilla
si accenda questa sera
accanto alla peschiera
dove si asciuga la fronte.
a tarda sera dalla vigna
scuote le rape nella vasca
sbuca dal viottolo con la paglia
macchiata di verderame.
L'uomo che porta così fresco
terriccio sulle scarpe, odore
di fresca sera nei vestiti
si ferma a una fonte, parla
con l'ortolano che sradica i finocchi.
E' un uomo, un piccolo uomo
ch'io guardo di lontano.
E' un punto vivo all'orizzonte.
Forse la sua pupilla
si accenda questa sera
accanto alla peschiera
dove si asciuga la fronte.
domenica 17 giugno 2012
per sorridere un pò PREPARATIVI DI PARTENZA di J. K. Jerome
Io ho un certo orgoglio del mio metodo di fare i bagagli. Fare i bagagli è una delle molte cose che io so a menadito, più di qualunque altra persona viva (Mi sorprendo, a volte, considerando quante cose so.)Persuasi della mia abilità Giorgio e Harris, e dissi di lasciar fare interamente a me. Accettarono la proposta con una prontezza che mi parve alquanto strana. Giorgio si caricò la pipa, e si allungò nella poltrona; Harris allungò le gambe sul tavolino, e si accese un sigaro.
Veramente io non la intendevo così. Infatti, ciò che volevo era di sorvegliare il lavoro e di metter in moto Giorgio e Harris sotto la mia direzione, incitandoli a volta a volta :" Ehi, tu!..." "Dà qui". "Ecco fatto, abbastanza semplice" in realtà guidandoli, così per dire. Ma il loro intenderla nella maniera che la intendevano mi irritò. Non v'è nulla che m'irriti di più come veder gli altri starsene con le mani in mano, mentre io lavoro.
Vissi una volta con un tale che a questo modo mi faceva ammattire. Se ne stava sdraiato sul sofà e mi guardava lavorare per ore di seguito, seguendomi con gli occhi nella stanza, dovunque andassi. Diceva che la mia attività gli faceva bene. Gli faceva sentire che la vita non era un pigro sogno da passar stirandosi e sbadigliando, ma un nobile compito, pieno di dovere e di austero esercizio. Si domandava spesso come avesse potuto andare avanti, prima d'aver incontrato me, come avesse potuto durare fino allora senza un esempio davanti agli occhi di fervida attività.
Invece io sono diverso.Non posso rimanermene ozioso e veder un altro affannarsi a sudare. Voglio levarmi e sovraintendere, e aggirarmi con le mani in tasca, ordinando ciò che si deve fare. Obbedisco all'energia della mia natura e non posso resisterle.
Veramente io non la intendevo così. Infatti, ciò che volevo era di sorvegliare il lavoro e di metter in moto Giorgio e Harris sotto la mia direzione, incitandoli a volta a volta :" Ehi, tu!..." "Dà qui". "Ecco fatto, abbastanza semplice" in realtà guidandoli, così per dire. Ma il loro intenderla nella maniera che la intendevano mi irritò. Non v'è nulla che m'irriti di più come veder gli altri starsene con le mani in mano, mentre io lavoro.
Vissi una volta con un tale che a questo modo mi faceva ammattire. Se ne stava sdraiato sul sofà e mi guardava lavorare per ore di seguito, seguendomi con gli occhi nella stanza, dovunque andassi. Diceva che la mia attività gli faceva bene. Gli faceva sentire che la vita non era un pigro sogno da passar stirandosi e sbadigliando, ma un nobile compito, pieno di dovere e di austero esercizio. Si domandava spesso come avesse potuto andare avanti, prima d'aver incontrato me, come avesse potuto durare fino allora senza un esempio davanti agli occhi di fervida attività.
Invece io sono diverso.Non posso rimanermene ozioso e veder un altro affannarsi a sudare. Voglio levarmi e sovraintendere, e aggirarmi con le mani in tasca, ordinando ciò che si deve fare. Obbedisco all'energia della mia natura e non posso resisterle.
sabato 16 giugno 2012
Il troppo meditare non è sempre salutare come dimostra una storiella graziosa di Giacomo Prampolini LO STAFFIERE MEDITABONDO
Un cavaliere si recò in una città. Avendo appreso che in essa c'erano tanti ladri, disse, quando annottò, al suo staffiere: - Dormi pure; starò sveglio io. Perchè di te non mi fido molto.-
Lo staffiere protestò indignato : Mio signore, che discorsi! Non vedo perchè dovrei dormir io e lasciar te a vegliare. Non permetto affatto una cosa simile!-
In breve, riuscì a indurre il suo signore a dormire; ma questi tre ore dopo si svegliò e gli chiese:- Che fai?-
Lo staffiere rispose:- Sto meditando come ha fatto Dio a stendere le terre sopra le acque.-
Il signore osservò : - Temo che intanto vengano i ladri, e tu non ti accorga di niente. - Ma il servo lo tranquillò: - Dormi fiducioso , mio signore; io faccio buona guardia.-
Il cavaliere si riaddormentò, si svegliò verso mezzanotte e chiese :- Staffiere,, che fai?-
- Sto meditando come ha fatto Dio a sostenere il cielo senza pilastri.
Il signore si allarmò per la risposta: - La tua pensosità mi fa temere che - non lo voglia Iddio! - vengano i ladri e rubino il cavallo. - Ma lo staffiere ripetè che egli era ben desto e che mai sarebbe accaduta una cosa simile.
Il signore insistette : - Se senti sonno, dormi pure; sto veglio io - ma il servo dichiarò che non c'era pericolo si addormentasse.
E il cavaliere si rimise a dormire. La notte volgeva alla fine quando si destò una terza volta e chiese al servo : - Che fai?-
L'altro rispose:- Sto meditando chi domattina porterà la sella sulla testa, se io o il signore; perchè hanno proprio rubato il cavallo.-
Lo staffiere protestò indignato : Mio signore, che discorsi! Non vedo perchè dovrei dormir io e lasciar te a vegliare. Non permetto affatto una cosa simile!-
In breve, riuscì a indurre il suo signore a dormire; ma questi tre ore dopo si svegliò e gli chiese:- Che fai?-
Lo staffiere rispose:- Sto meditando come ha fatto Dio a stendere le terre sopra le acque.-
Il signore osservò : - Temo che intanto vengano i ladri, e tu non ti accorga di niente. - Ma il servo lo tranquillò: - Dormi fiducioso , mio signore; io faccio buona guardia.-
Il cavaliere si riaddormentò, si svegliò verso mezzanotte e chiese :- Staffiere,, che fai?-
- Sto meditando come ha fatto Dio a sostenere il cielo senza pilastri.
Il signore si allarmò per la risposta: - La tua pensosità mi fa temere che - non lo voglia Iddio! - vengano i ladri e rubino il cavallo. - Ma lo staffiere ripetè che egli era ben desto e che mai sarebbe accaduta una cosa simile.
Il signore insistette : - Se senti sonno, dormi pure; sto veglio io - ma il servo dichiarò che non c'era pericolo si addormentasse.
E il cavaliere si rimise a dormire. La notte volgeva alla fine quando si destò una terza volta e chiese al servo : - Che fai?-
L'altro rispose:- Sto meditando chi domattina porterà la sella sulla testa, se io o il signore; perchè hanno proprio rubato il cavallo.-
venerdì 15 giugno 2012
IN TRENO (Corrado Govoni 1884- 1965)
Un mandorlo fiorito in un giardino,
tra due nere statue mutilate
che guardavan laggiù il mare in burrasca,
mi accompagnò, durante tutto il viaggio,
con la sua gioia bianca ed odorosa,
traverso le pianure, i monti e le città,
come fosse incollato al finestrino.
Fino alla piccola stazione di campagna,
sussultante di campanelli:
dove affinò i suoi rami
in un grigiore di capelli,
sfiorì rapidamente,
si raccolse e sorrise mestamente
nel volto pallido di mia madre,
che mi attendeva sola
e mi diede sul cuore un bacio santo
che sapeva di cenere e di pianto.
tra due nere statue mutilate
che guardavan laggiù il mare in burrasca,
mi accompagnò, durante tutto il viaggio,
con la sua gioia bianca ed odorosa,
traverso le pianure, i monti e le città,
come fosse incollato al finestrino.
Fino alla piccola stazione di campagna,
sussultante di campanelli:
dove affinò i suoi rami
in un grigiore di capelli,
sfiorì rapidamente,
si raccolse e sorrise mestamente
nel volto pallido di mia madre,
che mi attendeva sola
e mi diede sul cuore un bacio santo
che sapeva di cenere e di pianto.
fotografia Piero Reggio |
giovedì 14 giugno 2012
"Contro l'arte pedagogica " di Raffaele Mormone da "Avviamento alla critica d'arte" ed .Fausto Fiorentino - libraio- Napoli (quante ore passate nello studio )
La corrente della filosofia moderna, sulla quale poggia la più autorevole - direi la vera ed autentica -critica d'arte contemporanea, nel distinguere le diverse attività dell'uomo, ha separato nettamente la fantasia dall'intelletto e perciò l'arte dal ragionamento, ammettendo che l'una si esplica in un'atmosfera di assoluta libertà e spontaneità e che l'altro invece agisce sulla scorta di un saldo controllo logico, ossia della ragione, sicchè tanto più ci si avvicina alla verità quanto più profonda si fa la riflessione. Questi due momenti - arte e ragionamento - non sono in progressione, cioè, contigui e successivi, bensì eterogenei e non comunicanti; tra di essi non si può stabilire alcun compromesso, poichè sono inconciliabili.
Di conseguenza la poesia, nascendo da un sentimento, che è originale e personale di ciascun artista, non ha in sè alcuna razionalità logica e perciò non può farsi banditrice di un dato principio morale. Il quale presuppone sempre, in chi lo fa suo e l'esprime rivolgendosi agli altri uomini per condurli verso la virtù, una scelta tra le varie teorie morali possibili e quindi attinge forza dalla meditazione e dal ragionamento; è in conclusione un atto di pensiero.
Charles Baudelaire nel secolo scorso ebbe delle affermazioni molto brillanti, rivelatesi oggi di una modernità evidentissima :"Ogni buona scultura, ogni buona pittura - egli scriveva - ogni buona musica suggerisce i sentimenti e i sogni che vuol suggerire, ma il ragionamento, la deduzione, appartengono al libro... Più l'arte vorrà essere filosoficamente chiara, più si degraderà e risalirà verso la puerilità del geroglifico ; al contrario, più l'arte si distaccherà dall'insegnamento, più salirà verso la bellezza pura e disinteressata... La poesia ... non ha altro fine che se stessa"
Di conseguenza la poesia, nascendo da un sentimento, che è originale e personale di ciascun artista, non ha in sè alcuna razionalità logica e perciò non può farsi banditrice di un dato principio morale. Il quale presuppone sempre, in chi lo fa suo e l'esprime rivolgendosi agli altri uomini per condurli verso la virtù, una scelta tra le varie teorie morali possibili e quindi attinge forza dalla meditazione e dal ragionamento; è in conclusione un atto di pensiero.
Charles Baudelaire nel secolo scorso ebbe delle affermazioni molto brillanti, rivelatesi oggi di una modernità evidentissima :"Ogni buona scultura, ogni buona pittura - egli scriveva - ogni buona musica suggerisce i sentimenti e i sogni che vuol suggerire, ma il ragionamento, la deduzione, appartengono al libro... Più l'arte vorrà essere filosoficamente chiara, più si degraderà e risalirà verso la puerilità del geroglifico ; al contrario, più l'arte si distaccherà dall'insegnamento, più salirà verso la bellezza pura e disinteressata... La poesia ... non ha altro fine che se stessa"
mercoledì 13 giugno 2012
Camposanti (Renzo Pezzani 1898 - 1951)
In questi piccoli orti
di lattughe non ce n'è,
il poveretto dorme col re:
siamo uguali dopo morti.
Cade la neve e copre tutti:
che gran letto è la terra!
Qui c'è un fiore e là non c'è:
ma il poveretto dorme col re.
Che sonno lungo, che sonno, la morte.
Ci si sveglia in Paradiso.
Intanto il letto è stato diviso:
un poco al povero e un poco al re.
Vesti di bisso, mantello liso,
quello che era or più non è.
Ci si sveglia in Paradiso,
così il povero e così il re.
di lattughe non ce n'è,
il poveretto dorme col re:
siamo uguali dopo morti.
Cade la neve e copre tutti:
che gran letto è la terra!
Qui c'è un fiore e là non c'è:
ma il poveretto dorme col re.
Che sonno lungo, che sonno, la morte.
Ci si sveglia in Paradiso.
Intanto il letto è stato diviso:
un poco al povero e un poco al re.
Vesti di bisso, mantello liso,
quello che era or più non è.
Ci si sveglia in Paradiso,
così il povero e così il re.
fotografia Piero Reggio |
martedì 12 giugno 2012
BELLEZZA (Corrado Govoni 1884-1965)
lunedì 11 giugno 2012
POESIA
domenica 10 giugno 2012
dedicata al vecchio pastore che in questi giorni con il gregge si è fermato nel campo vicino CANZONE DEL RITORNO (Francesco Pastonchi 1877-1953)
Il giorno cade e muore
e con la greggia ritorna, il pastore,
il buon pastore che non muta sorte
nemmen con la morte,
nemmen con la morte.
Perchè quando un pastore,
perchè quando un pastore - è vecchio e stanco
d'errare la montagna solitaria,
allora il buon Signore,
allora il buon Signore - gli dà un branco
di stelle da vagar le vie dell'aria.
E il buon pastore morto se ne va
a pasturare per l'eternità.
e con la greggia ritorna, il pastore,
il buon pastore che non muta sorte
nemmen con la morte,
nemmen con la morte.
Perchè quando un pastore,
perchè quando un pastore - è vecchio e stanco
d'errare la montagna solitaria,
allora il buon Signore,
allora il buon Signore - gli dà un branco
di stelle da vagar le vie dell'aria.
E il buon pastore morto se ne va
a pasturare per l'eternità.
fotografia Piero Reggio |
sabato 9 giugno 2012
L'ULTIMO DONO DI AMORE (DANTE GABRIEL ROSSETTI 1828-1882)
AL SUO CANTORE, AMORE OFFRI' LUCENTE
UNA FOGLIO, E DISSE: IL ROSAIO E IL MELO
VANTANO FRUTTI, E FIORI CHE ADESCANO L'APE;
E FRECCE D'ORO SONO NEL PIUMATO COVONE
DEL GRAN MINISTRO DELLE MESSI, FULCRO DELL'ANNO,
ESTATE VITTORIOSA, SI', E SOTTO IL CALDO MARE
ERBE STRANE ED ARCANE SI CELANO INVIOLABILI
NEI MEANDRI CHE FIOTTANO TRA GLI SCOGLI FONDI.
MIEI FIORI, TUTTI; E TUTTI I DOLCI FIORI D'AMORE
DONAI A TE MENTRE PRIMAVERA E ESTATE CANTAVANO;
MA AUTUNNO SI FERMA E ASCOLTA, STRAZIATO
DA QUELLE PIU' TRISTI COSE DI CUI IL VENTO SI LAGNA.
SOLO QUESTO ALLORO NON TEME GLI INVERNI: PRENDI
IL MIO ESTREMO DONO: IL TUO CUORE CANTO' IN MIA LODE.
UNA FOGLIO, E DISSE: IL ROSAIO E IL MELO
VANTANO FRUTTI, E FIORI CHE ADESCANO L'APE;
E FRECCE D'ORO SONO NEL PIUMATO COVONE
DEL GRAN MINISTRO DELLE MESSI, FULCRO DELL'ANNO,
ESTATE VITTORIOSA, SI', E SOTTO IL CALDO MARE
ERBE STRANE ED ARCANE SI CELANO INVIOLABILI
NEI MEANDRI CHE FIOTTANO TRA GLI SCOGLI FONDI.
MIEI FIORI, TUTTI; E TUTTI I DOLCI FIORI D'AMORE
DONAI A TE MENTRE PRIMAVERA E ESTATE CANTAVANO;
MA AUTUNNO SI FERMA E ASCOLTA, STRAZIATO
DA QUELLE PIU' TRISTI COSE DI CUI IL VENTO SI LAGNA.
SOLO QUESTO ALLORO NON TEME GLI INVERNI: PRENDI
IL MIO ESTREMO DONO: IL TUO CUORE CANTO' IN MIA LODE.
fotografia Piero Reggio |
venerdì 8 giugno 2012
STELLE SUL MARE (ANTONIA POZZI 1912-1938)
PICCOLE BUONE STELLE -
TUTTE MIE -
TUTTE MIE -
CHE PASSATE
CON IL MOTO DEL MARE
SUL MIO GUANCIALE BIANCO -
PICCOLE BUONE STELLE
CHE IMPIGLIATE
I VOSTRI CHIARI RAGGI
NELLA MIA MANO
S'IO - ECCO - LA TENDA
VERSO DI VOI
COME UN ARBUSTO SPOGLIO -
PICCOLE BUONE STELLE
CHE CADETE
GIU' DALLA MANO
S'IO - ECCO - LA SCUOTA
COME FA IL VENTO DI UN RAMO FIORITO -
STELLE -
GRANDINE D'ORO -
CHE PIOVETE
A SCROSCI LUNGHI
SOPRA IL NUDO CUORE -
TUTTE MIE -
TUTTE MIE -
CHE PASSATE
CON IL MOTO DEL MARE
SUL MIO GUANCIALE BIANCO -
PICCOLE BUONE STELLE
CHE IMPIGLIATE
I VOSTRI CHIARI RAGGI
NELLA MIA MANO
S'IO - ECCO - LA TENDA
VERSO DI VOI
COME UN ARBUSTO SPOGLIO -
PICCOLE BUONE STELLE
CHE CADETE
GIU' DALLA MANO
S'IO - ECCO - LA SCUOTA
COME FA IL VENTO DI UN RAMO FIORITO -
STELLE -
GRANDINE D'ORO -
CHE PIOVETE
A SCROSCI LUNGHI
SOPRA IL NUDO CUORE -
giovedì 7 giugno 2012
mercoledì 6 giugno 2012
IL CIELO (Wislawa Szymborska 1923-2012)
Da questo bisogna cominciare : dal cielo.
Finestre senza parapetto, senza intelaiature, senza vetri.
Un'apertura e nulla oltre,
solo amplitudine.
Non devo attendere una notte serena,
nè alzare la testa,
per osservare il cielo.
Il cielo l'ho dietro le spalle, sottobraccio e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva da sotto.
Persino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più fonde.
In nessun posto c'è più cielo
che in un altro.
Il cielo opprime ugualmente
le nuvole e le tombe.
La talpa è assunta in cielo
come la civetta che agita le ali.
Qualsiasi cosa che cada in un abisso,
cade di cielo in cielo.
Aride, fluide, rocciose,
infiammate e aeree
regioni celesti, briciole di cielo,
folate di cielo e cataste.
Il cielo è onnipresente
anche nelle oscurità sottopelle.
Divoro il cielo e lo secerno.
Sono una trappola intrappolata,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.
Dividendo il cielo dalla terra
non si pensa in modo appropriato
a questa totalità.
E' solo un modo per vivere,
presso un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
I miei segni particolari
sono l'estasi e la disperazione.
Finestre senza parapetto, senza intelaiature, senza vetri.
Un'apertura e nulla oltre,
solo amplitudine.
Non devo attendere una notte serena,
nè alzare la testa,
per osservare il cielo.
Il cielo l'ho dietro le spalle, sottobraccio e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva da sotto.
Persino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più fonde.
In nessun posto c'è più cielo
che in un altro.
Il cielo opprime ugualmente
le nuvole e le tombe.
La talpa è assunta in cielo
come la civetta che agita le ali.
Qualsiasi cosa che cada in un abisso,
cade di cielo in cielo.
Aride, fluide, rocciose,
infiammate e aeree
regioni celesti, briciole di cielo,
folate di cielo e cataste.
Il cielo è onnipresente
anche nelle oscurità sottopelle.
Divoro il cielo e lo secerno.
Sono una trappola intrappolata,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.
Dividendo il cielo dalla terra
non si pensa in modo appropriato
a questa totalità.
E' solo un modo per vivere,
presso un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
I miei segni particolari
sono l'estasi e la disperazione.
fotografia Piero Reggio |
martedì 5 giugno 2012
NULLA E' PIU' LIETO( ALESSANDRO PARRONCHI )
lunedì 4 giugno 2012
ESTASI (VICTOR HUGO)
Ero solo di fronte alle onde, in una notte stellata.
Non una nuvola in cielo, sul mare neppure un velo.
I miei occhi si tuffavano più in là della realtà.
E i boschi, i monti, tutta la natura
sembravano interrogare, in un confuso mormorare
i fuochi del cielo, le onde del mare.
E le stelle dorate, legioni infinite,
a voce alta, a voce bassa, con mille armonie
dicevano, inclinando le loro corone di fuoco,
e le onde blu che niente nè governa nè arresta
dicevano, curvando la schiuma della loro cresta
- E' il Signore, il Signore Iddio -
Non una nuvola in cielo, sul mare neppure un velo.
I miei occhi si tuffavano più in là della realtà.
E i boschi, i monti, tutta la natura
sembravano interrogare, in un confuso mormorare
i fuochi del cielo, le onde del mare.
E le stelle dorate, legioni infinite,
a voce alta, a voce bassa, con mille armonie
dicevano, inclinando le loro corone di fuoco,
e le onde blu che niente nè governa nè arresta
dicevano, curvando la schiuma della loro cresta
- E' il Signore, il Signore Iddio -
domenica 3 giugno 2012
L'ASINO E L'USIGNOLO (Ivan Krylov 1768-1844)
Vide un giorno un somaro
un usignolo :"Amico" - gli disse -"è ver che tanto,
come m'han riferito, esperto sei nel canto?
Oh, molto avrei pur caro,
udendoti cantar farmi da me un concetto
se in verità nel canto tu sei così provetto":
E l'usignol fischiando e gorgheggiando allora
sfoggiò l'arte canora
in mille modi vari. Cantava dolcemente,
con voce alta e sonora,
che pareva di zampogna talor l'eco languente,
talor di mitraglia lo scoppiettio frequente.
Allor tutto ascoltava;
ascoltava dell'alba l'annunciator canoro,
taceano i venti intorno e degli augelli il coro.
Il gregge si fermava
e respirando appena il pastorello, attento
al canto si beava
e volto alla campagna, sorrideva contento.
Terminò il canto. L'asino, china la fronte al suolo:
"Bè, non c'è male !" - disse -" Proprio, a parlarti franco,
udendoti cantare non mi stanco.
Certo è peccato solo,
mio povero usignolo,
che tu il galletto nostro non abbia conosciuto:
perfezionarti, udendolo, avresti ancor potuto"
Sentendo un tal giudizio, il povero cantore
spiccò il volo sui campi e sparve in un bagliore.
Da tal razza di giudici preservaci, Signore!
(L'usignolo fu nei tempi antichi chiamato Filomena da un'antica leggenda greca. Si narra che Procne e Filomena o Filomela erano figlie del re di Atene Prandione e inseguite da Tereo, marito di Procne, che voleva ucciderle furono tramutate dagli dei rispettivamente in rondine e in usignolo. Anche Tereo fu mutato in uccello:l'upupa. In un sonetto del Petrarca si cita :" e garrir Progne e pianger Filomena")
un usignolo :"Amico" - gli disse -"è ver che tanto,
come m'han riferito, esperto sei nel canto?
Oh, molto avrei pur caro,
udendoti cantar farmi da me un concetto
se in verità nel canto tu sei così provetto":
E l'usignol fischiando e gorgheggiando allora
sfoggiò l'arte canora
in mille modi vari. Cantava dolcemente,
con voce alta e sonora,
che pareva di zampogna talor l'eco languente,
talor di mitraglia lo scoppiettio frequente.
Allor tutto ascoltava;
ascoltava dell'alba l'annunciator canoro,
taceano i venti intorno e degli augelli il coro.
Il gregge si fermava
e respirando appena il pastorello, attento
al canto si beava
e volto alla campagna, sorrideva contento.
Terminò il canto. L'asino, china la fronte al suolo:
"Bè, non c'è male !" - disse -" Proprio, a parlarti franco,
udendoti cantare non mi stanco.
Certo è peccato solo,
mio povero usignolo,
che tu il galletto nostro non abbia conosciuto:
perfezionarti, udendolo, avresti ancor potuto"
Sentendo un tal giudizio, il povero cantore
spiccò il volo sui campi e sparve in un bagliore.
Da tal razza di giudici preservaci, Signore!
(L'usignolo fu nei tempi antichi chiamato Filomena da un'antica leggenda greca. Si narra che Procne e Filomena o Filomela erano figlie del re di Atene Prandione e inseguite da Tereo, marito di Procne, che voleva ucciderle furono tramutate dagli dei rispettivamente in rondine e in usignolo. Anche Tereo fu mutato in uccello:l'upupa. In un sonetto del Petrarca si cita :" e garrir Progne e pianger Filomena")
sabato 2 giugno 2012
OGNI VOLTA CHE VEDO LA MISERIA O LA DECADENZA DI UN VECCHIO, PENSO AI SOGNI DI SUA MADRE: CHISSA' CHE COSA FARA' DA GRANDE? MI FA PENA SE LO PENSO PICCOLO. (Enzo Biagi da "Lunga è la notte" ed Rizzoli)
Il pensiero che ogni anziano è stato bambino mi incanta e mi commuove, mi pone mille domande. Penso ai bisogni primari ; mangiava, giocava, com'era la sua salute, i genitori erano affettuosi, aveva i nonni? Andava bene a scuola, aveva amici, cosa voleva fare da grande? Anche dei miei genitori non conosco l'infanzia; solo poche notizie emerse nel tempo.Mio papà era bravo in matematica, aveva un gatto, a sua madre dava del voi (l'ha sempre fatto fino alla fine), faceva da baby sitter a due cuginette e la zia che lavorava in filanda gli offriva una generosa merenda. A mia mamma piaceva studiare e la sua maestra era la mamma di Giorgio Bocca, alla domenica quando il suo papà comperava il sigaro e La Stampa cercava sempre di avere un giornalino, aveva un fratello in collegio dai Salesiani, le piacevano le saponette profumate. Non ho mai saputo i loro sogni e se la vita gli ha dato almeno in parte ciò che volevano. Che mistero l'esistenza!
venerdì 1 giugno 2012
GIOVINEZZA
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