fotografia Piero Reggio |
venerdì 22 giugno 2012
FRUTTI DA MANGIARE da :" Un eremo non è un guscio di lumaca" di Adriana Zarri ed Einaudi
Un frutto non è soltanto un frutto: è un'offerta del mondo. Mangiandolo si mangia sole, si mangia luce, si mangia vento, si mangiano le prime nebbie di settembre che ne hanno fatto rabbrividire la buccia, prima che si cogliesse. Si mangia il tepore della paglia - se è un frutto invernale - su cui è stato posto a maturare. Si mangia la terra, la zappa, la cesoia, la fatica e l'abilità dell'uomo. Naturalmente non è necessario pensare esplicitamente tutto questo : è un messaggio che arriva in modo implicito e confuso, ma vitale; e noi lo avvertiamo nel diverso "sapore psicologico" : di lieta sorpresa imprevista e di acerba gratuità nel frutto selvatico del bosco, di matura pienezza nel frutto coltivato nell'orto; di acerbità primaticcia nei primi frutti della primavera, di gonfia maturità nei frutti estivi, di opulenta stanchezza, già venata di freddo, nei doni tardi dell'autunno, fino all'irsuto riccio del castagno che ha già sapore di fuoco. Tutto questo crea un clima, di cui dobbiamo essere in ascolto. Ed ecco che mangiare un frutto significa mettersi in contatto con la natura, comunicare, assimilare una porzione di mondo: da fatto brutalmente biologico sale ad atto contemplativo.
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