HAI VISO DI PIETRA SCOLPITA,
SANGUE DI TERRA DURA,
SEI VENUTA DAL MARE.
TUTTO ACCOGLI E SCRUTI
E RESPINGI DA TE
COME IL MARE. NEL CUORE
HAI SILENZIO, HAI PAROLE
INGHIOTTITE. SEI BUIA.
PER TE L'ALBA E' SILENZIO.
E SEI COME LE VOCI
DELLA TERRA - L'URTO
DELLA SECCHIA NEL POZZO,
LA CANZONE DEL FUOCO,
IL TONFO DI UNA MELA;
LE PAROLE RASSEGNATE
E CUPE SULLE SOGLIE,
IL GRIDO DEL BIMBO - LE COSE
CHE NON PASSANO MAI.
TU NON MUTI. SEI BUIA.
SEI LA CANTINA CHIUSA,
DAL BATTUTO DI TERRA,
DOV'E' ENTRATO UNA VOLTA
CH'ERA SCALZO IL BAMBINO,
E CI RIPENSA SEMPRE.
SEI LA CAMERA BUIA
CUI SI RIPENSA SEMPRE,
COME AL CORTILE ANTICO
DOVE S'APRIVA L'ALBA.
martedì 28 gennaio 2014
sabato 25 gennaio 2014
NUVOLA E ARROTINO ( RENZO PEZZANI)
Si leva pigra dal seno
dei fiumi dove giacque,
figlia del sole e dell'acque,
la nube nel dì sereno.
E' bella, ornata di frange
leggere, trasparenti.
Agnella contesa dai venti
un po' ride, un po' piange.
Vive la breve avventura
spensierata, errabonda.
Tuona, lampeggia, gronda,
la luce di un'ora spaura.
Avvampa agli orli d'un fuoco,
e tuona ... ma solo per gioco.
S'è fermato al cancello
un giorno l'arrotino:
manda un grido di vecchio uccello,
un lamento di pellegrino.
Sopra il ferro oscuro stilla
un pianto di vecchio amico
lo rifà ora che brilla
nuovo a un lavoro antico.
Lo rifà tagliente
e pronto al duro mestiere,
come la luna nascente
sotto una fonte per bere.
Quella goccia d'arrotino.
Quella nuvola in cammino.
dei fiumi dove giacque,
figlia del sole e dell'acque,
la nube nel dì sereno.
E' bella, ornata di frange
leggere, trasparenti.
Agnella contesa dai venti
un po' ride, un po' piange.
Vive la breve avventura
spensierata, errabonda.
Tuona, lampeggia, gronda,
la luce di un'ora spaura.
Avvampa agli orli d'un fuoco,
e tuona ... ma solo per gioco.
S'è fermato al cancello
un giorno l'arrotino:
manda un grido di vecchio uccello,
un lamento di pellegrino.
Sopra il ferro oscuro stilla
un pianto di vecchio amico
lo rifà ora che brilla
nuovo a un lavoro antico.
Lo rifà tagliente
e pronto al duro mestiere,
come la luna nascente
sotto una fonte per bere.
Quella goccia d'arrotino.
Quella nuvola in cammino.
martedì 21 gennaio 2014
IL PIOPPO (ADA NEGRI)
Sotto la brina il pioppo è di cristallo:
se lo tocchi, l'infrangi , e piomba al suolo
con tintinnio di frantumate lastre.
Lo diresti un altissimo zampillo
che un incanto invetrò ; ma dentro è vivo,
e lo strazia desio di Primavera.
- Oh, mai più tornerà la Primavera , -
pensa - Mai più. Son vecchio. Non mi resta
foglia sui rami, uccello che mi canti
in vetta. linfa nelle vene, strido
di cicala sul tronco. E ciascun giorno
che passa, accresce il gelo ; e già mi sento
vicino a morte. -
Ma, un mattino, il sole
rompe l'algore : scioglie in molle pianto
sugli stecchiti rami il vel di ghiaccio:
torna la linfa e il verde :giovinezza
ritorna, e n'ha sì gran sorpresa il pioppo
ch'ogni sua foglia, anche se tace il vento,
trema di gioia : anche la notte, in sogno,
trema di gioia in ogni foglia il pioppo.
se lo tocchi, l'infrangi , e piomba al suolo
con tintinnio di frantumate lastre.
Lo diresti un altissimo zampillo
che un incanto invetrò ; ma dentro è vivo,
e lo strazia desio di Primavera.
- Oh, mai più tornerà la Primavera , -
pensa - Mai più. Son vecchio. Non mi resta
foglia sui rami, uccello che mi canti
in vetta. linfa nelle vene, strido
di cicala sul tronco. E ciascun giorno
che passa, accresce il gelo ; e già mi sento
vicino a morte. -
Ma, un mattino, il sole
rompe l'algore : scioglie in molle pianto
sugli stecchiti rami il vel di ghiaccio:
torna la linfa e il verde :giovinezza
ritorna, e n'ha sì gran sorpresa il pioppo
ch'ogni sua foglia, anche se tace il vento,
trema di gioia : anche la notte, in sogno,
trema di gioia in ogni foglia il pioppo.
domenica 19 gennaio 2014
ORMAI SON VECCHIO...
venerdì 17 gennaio 2014
PER UN PANE CHE BASTA ( Giuseppe Gerini )
Da molti anni io dormirò
( non fallirmi speranza )
quando, un giorno, anche voi ,
presi dal sonno, verrete, miei figli,
e vi distenderete sotto
la nera coltre. E dormirete.
Perché tal sonno a tutti è necessario.
E dormirà, sapete, anche la terra:
dormiranno e stelle e luna,
chiuso il grande anno solare
tramontata ogni stagione siderea.
Ciò che sarà, poi,
se altro giorno s'aprirà, ignoriamo.
Chi di noi, quale mente abbraccia
ere epoche cadute nella Notte?
Forse, sciolte le forme
( o materia)
noi, che vestimmo umana carne,
ci spanderemo
alito immenso e quieto
Come lo spazio' Come il tempo?
Ma cercandoci , Iddio solerte
ne ridurrà nella segnata immagine
attorno a mensa candida
per un pane che basta.
Diremo e udremo. Ci illumineremo,
figli, ancora d'amore.
( non fallirmi speranza )
quando, un giorno, anche voi ,
presi dal sonno, verrete, miei figli,
e vi distenderete sotto
la nera coltre. E dormirete.
Perché tal sonno a tutti è necessario.
E dormirà, sapete, anche la terra:
dormiranno e stelle e luna,
chiuso il grande anno solare
tramontata ogni stagione siderea.
Ciò che sarà, poi,
se altro giorno s'aprirà, ignoriamo.
Chi di noi, quale mente abbraccia
ere epoche cadute nella Notte?
Forse, sciolte le forme
( o materia)
noi, che vestimmo umana carne,
ci spanderemo
alito immenso e quieto
Come lo spazio' Come il tempo?
Ma cercandoci , Iddio solerte
ne ridurrà nella segnata immagine
attorno a mensa candida
per un pane che basta.
Diremo e udremo. Ci illumineremo,
figli, ancora d'amore.
martedì 14 gennaio 2014
IL CALICANTO (ADA NEGRI)
L'ultime piogge dell'inverno scrosciano
oblique, sulle nevi in fango sciolte.
Piegano i fusti squallidi alle raffiche.
Piegano l'erbe al fango miste e all'acqua.
Terra che soffre, pena che mi duole
nel sangue, che m'incurva come ramo
sotto gli scrosci. E pur, nell'orto, un cespo
solo a fiorir nell'ora acerba, splende
in un gran riso di corolle gialle
fra sì gran pianto. E' necessario il pianto,
dunque, al fiorir del primo fiore ? Nella
pioggia s'immilla il suo profumo : oh, dolce,
oh, amaro come il tuo mi fu, stagione
che mi facesti donna, aspra stagione
tutta scrosci di pianto e campanelle
di calicanto.
oblique, sulle nevi in fango sciolte.
Piegano i fusti squallidi alle raffiche.
Piegano l'erbe al fango miste e all'acqua.
Terra che soffre, pena che mi duole
nel sangue, che m'incurva come ramo
sotto gli scrosci. E pur, nell'orto, un cespo
solo a fiorir nell'ora acerba, splende
in un gran riso di corolle gialle
fra sì gran pianto. E' necessario il pianto,
dunque, al fiorir del primo fiore ? Nella
pioggia s'immilla il suo profumo : oh, dolce,
oh, amaro come il tuo mi fu, stagione
che mi facesti donna, aspra stagione
tutta scrosci di pianto e campanelle
di calicanto.
domenica 12 gennaio 2014
EMILY DICKINSON (1830-1886)
AD UN CUORE SPEZZATO
NESSUN CUORE SI VOLGA
SE NON QUELLO CHE HA L'ARDUO PRIVILEGIO
D'AVERE ALTRETTANTO SOFFERTO.
NESSUN CUORE SI VOLGA
SE NON QUELLO CHE HA L'ARDUO PRIVILEGIO
D'AVERE ALTRETTANTO SOFFERTO.
venerdì 10 gennaio 2014
GUSTAVO ADOLFO BECQUER - LXXVI
Nell'imponente navata
del tempio bizantino,
vidi la gotica tomba all'incerta
luce che tremava sul vetro dipinto.
Le mani sul petto
e nelle mani un libro,
una bella donna riposava
sull'urna, dello scalpello prodigio.
Del corpo abbandonato,
sotto il dolce peso annientato,
come se di molli piume e raso fosse,
si piegava, di granito, il letto.
Dell'ultimo sorriso,
lo splendore divino,
servava il volto, come il cielo conserva
del sole che muore il raggio fuggitivo.
Del capezzale di pietra,
seduti sul filo,
due angeli, alle labbra il dito,
imponevano silenzio nel recinto.
Non sembrava morta,
dall'arco massiccio
sembrava dormire nella penombra,
e in sogno vedere il paradiso.
Mi avvicinai della navata
all'ombroso angolo,
come chi arriva con silenzioso passo
alla culla dove dorme un pargolo.
La contemplai un momento.
E quello splendore fioco,
quel letto di pietra che offriva,
vicino al muro un altro posto vuoto,
nell'anima ravvivarono
la sete dell'eterno,
l'ansia di quella vita della morte
per la quale i secoli passano in un baleno...
...
Stanco del conflitto
in cui lottando vivo,
qualche volta rammento con invidia
quell'angolo nascosto e buio.
Di quella muta e pallida
donna mi ricordo e dico:
"O, che amore tanto cheto quello della morte!
Che sonno, quello del sepolcro, così tranquillo!"
del tempio bizantino,
vidi la gotica tomba all'incerta
luce che tremava sul vetro dipinto.
Le mani sul petto
e nelle mani un libro,
una bella donna riposava
sull'urna, dello scalpello prodigio.
Del corpo abbandonato,
sotto il dolce peso annientato,
come se di molli piume e raso fosse,
si piegava, di granito, il letto.
Dell'ultimo sorriso,
lo splendore divino,
servava il volto, come il cielo conserva
del sole che muore il raggio fuggitivo.
Del capezzale di pietra,
seduti sul filo,
due angeli, alle labbra il dito,
imponevano silenzio nel recinto.
Non sembrava morta,
dall'arco massiccio
sembrava dormire nella penombra,
e in sogno vedere il paradiso.
Mi avvicinai della navata
all'ombroso angolo,
come chi arriva con silenzioso passo
alla culla dove dorme un pargolo.
La contemplai un momento.
E quello splendore fioco,
quel letto di pietra che offriva,
vicino al muro un altro posto vuoto,
nell'anima ravvivarono
la sete dell'eterno,
l'ansia di quella vita della morte
per la quale i secoli passano in un baleno...
...
Stanco del conflitto
in cui lottando vivo,
qualche volta rammento con invidia
quell'angolo nascosto e buio.
Di quella muta e pallida
donna mi ricordo e dico:
"O, che amore tanto cheto quello della morte!
Che sonno, quello del sepolcro, così tranquillo!"
mercoledì 8 gennaio 2014
BRINA E NEVE ( ADA NEGRI )
Nel silenzio di ghiaccio, fra il candore
della ramaglia ch'è tutta un rabesco
d'argento sul grigior basso del cielo,
( esili fiocchi di novella neve
danzan nell'aria, ma non toccan terra)
or sì or no mi giunge un cinguettio
di passeretta. Garrulo qual filo
d'acqua fra sassi: acuto e solo, nella
immacolata fissità del giorno.
Di dove trilla? Dai bambù? Dagli aghi
del deodara, gran gigante in armi?
Che se fosse lassù, sul pioppo, nera
sul bianco la vedrei, sì vuota è l'aria
fra i nudi rami. Ma, se più nascosta,
più m'è dolce l'udirla. Il suo trillare
sospeso a tratti in sorde pause, a queste
falde assomiglia, aeree, che scendono,
indugiano, risalgono, scompaiono
per ritornare ; ma non toccan suolo.
Sei ben tu, passeretta, o non è il mio
cuore segreto, che di freddo muore,
e si lusinga che il suo canto chiami
da mezzo il Verno la stagion dei nidi?
della ramaglia ch'è tutta un rabesco
d'argento sul grigior basso del cielo,
( esili fiocchi di novella neve
danzan nell'aria, ma non toccan terra)
or sì or no mi giunge un cinguettio
di passeretta. Garrulo qual filo
d'acqua fra sassi: acuto e solo, nella
immacolata fissità del giorno.
Di dove trilla? Dai bambù? Dagli aghi
del deodara, gran gigante in armi?
Che se fosse lassù, sul pioppo, nera
sul bianco la vedrei, sì vuota è l'aria
fra i nudi rami. Ma, se più nascosta,
più m'è dolce l'udirla. Il suo trillare
sospeso a tratti in sorde pause, a queste
falde assomiglia, aeree, che scendono,
indugiano, risalgono, scompaiono
per ritornare ; ma non toccan suolo.
Sei ben tu, passeretta, o non è il mio
cuore segreto, che di freddo muore,
e si lusinga che il suo canto chiami
da mezzo il Verno la stagion dei nidi?
lunedì 6 gennaio 2014
I RE MAGI ( Emilio Praga 1839 - 1875)
I bei vegliardi dallo scettro d'oro
Che per la neve sotto il ciel sereno,
Sostar sommessi alla mia porta udia,
La notte della santa Epifania,
5O son morti di freddo, o son malati,
Nei paesi del sole,
I bei vegliardi dallo scettro d’oro!
Quando la mia scarpetta in sul verone
Tutta avvizzita facea la rugiada,
10E tu madre, domestica regina,
La colmavi di doni alla mattina,
Io ricciuto avea il crin, candida l’alma,
E ogni alba che venìa
Di giornate regali il don mi offrìa.
5O son morti di freddo, o son malati,
Nei paesi del sole,
I bei vegliardi dallo scettro d’oro!
Quando la mia scarpetta in sul verone
Tutta avvizzita facea la rugiada,
10E tu madre, domestica regina,
La colmavi di doni alla mattina,
Io ricciuto avea il crin, candida l’alma,
E ogni alba che venìa
Di giornate regali il don mi offrìa.
15Un giovin Sire senza scettro d’oro,
Ma cui nutrian d’aromi e terra e cielo,
E una corte di sogni e di speranze
Complimentava fra beate stanze,
Ero in quei giorni io stesso:
20Io che il perduto imper sospiro adesso!
I bei vegliardi dallo scettro d’oro
Che per la neve, sotto il ciel sereno,
Sostar sommessi alla mia porta udìa,
La notte della santa Epifanìa,
25O son morti di freddo o son malati
Nei paesi del Sole,
I bei vegliardi dallo scettro d’oro!
Ma cui nutrian d’aromi e terra e cielo,
E una corte di sogni e di speranze
Complimentava fra beate stanze,
Ero in quei giorni io stesso:
20Io che il perduto imper sospiro adesso!
I bei vegliardi dallo scettro d’oro
Che per la neve, sotto il ciel sereno,
Sostar sommessi alla mia porta udìa,
La notte della santa Epifanìa,
25O son morti di freddo o son malati
Nei paesi del Sole,
I bei vegliardi dallo scettro d’oro!
sabato 4 gennaio 2014
RISPOSTA AL QUESTIONARIO DEL BLOG : I CONSIGLI DI ZIA DELINA.
- IL TRATTO PRINCIPALE DEL SUO CARATTERE: la buona educazione
- IL SUO PIU' GRANDE DIFETTO: L'ansietà
- OCCUPAZIONE PRINCIPALE: Sopravvivere
- QUALITA' CHE PREFERISCE IN UN UOMO: La gentilezza
- E IN UNA DONNA: anche
- GLI AUTORI PIU' AMATI: Camilleri, Olivieri, Simenon
- DOVE VORREBBE VIVERE: In un giardino di rose
- CHI VORREBBE ESSERE: nessuno in particolare, mi vado bene così
- PIATTO E BEVANDA PREFERITI: patatine al forno e involtino di seitan
- COME VORREBBE MORIRE: Improvvisamente
- EROE PREFERITO DELLA FINZIONE: non ho eroi
- IL DONO DI NATURA CHE VORREBBE AVERE: la sicurezza
- IL SUO MOTTO : vivi e lascia vivere
giovedì 2 gennaio 2014
GOCCIOLE ( A. Palazzeschi 1885- 1974)
Simile a una passione giovanile
impetuosa e breve
s'è scatenato il temporale
nel fresco giorno d'aprile.
Dal tuono e dall'oscurità
parve inghiottita la terra
in un istante.
Ma dopo tanto buio
e spaventoso rumore
dopo uno scroscio
violento e salutare
coi profumi della terra
è tornata la luce
e nella purezza dell'aria
rifulge vivissimo il sole.
Un arco di gemme
getto dell'orizzonte
la terra al cielo congiunge.
Dal ramo ancor bagnato
scendono
undopolaltra tante gocciole
ed ognuna
scendendo rapida
si gonfia di luce e di colore.
Pervenuta al limitare
in ebbrezza e vertigine
tutti i colori risplende
e cade.
Con egual ritmo e gioia uguale
dietro di lei l'altra la segue
e cade
rapidamente.
impetuosa e breve
s'è scatenato il temporale
nel fresco giorno d'aprile.
Dal tuono e dall'oscurità
parve inghiottita la terra
in un istante.
Ma dopo tanto buio
e spaventoso rumore
dopo uno scroscio
violento e salutare
coi profumi della terra
è tornata la luce
e nella purezza dell'aria
rifulge vivissimo il sole.
Un arco di gemme
getto dell'orizzonte
la terra al cielo congiunge.
Dal ramo ancor bagnato
scendono
undopolaltra tante gocciole
ed ognuna
scendendo rapida
si gonfia di luce e di colore.
Pervenuta al limitare
in ebbrezza e vertigine
tutti i colori risplende
e cade.
Con egual ritmo e gioia uguale
dietro di lei l'altra la segue
e cade
rapidamente.
Iscriviti a:
Post (Atom)