...
Per me è certa una sola cosa : che rospi e rane li distinguo bene solo alla voce. La forma è eguale, la bruttezza eguale, il tonfo che fanno buttandosi nell'acqua è eguale, ma la voce che esce dall'acqua è diversissima: profonda, rauca, repulsiva quella del rospo, argentata e ritmica quella della ranocchia.
A questo punto, se confronto le voci, comincio a comprendere i motivi di una preferenza che all'occhio sarebbe ingiusta ma si giustifica all'orecchio.
Di notte, quando l'ombra, l'erba, l'acqua la nascondono, avviene il gran miracolo: la rana diventa bella.
La voce del rospo è un mugolio ma la voce della rana un canto: un canto ritmato, inesausto come un respiro che invade tutta la campagna. E tutta la campagna canta col canto delle rane.
Non è canto che possa udirsi sempre, come quello dei grilli. Per ascoltarlo bisogna giungere in quei punti privilegiati che godono di un po' d'acqua : un macero, uno stagno : acqua ferma di preferenza, o di corso assai lento. Nei fiumi rapidi o nei torrenti ci sono i pesci proverbialmente muti, le rane no. Le rane si annidano tranquille nelle acque ferme e addormentate: meglio se coperte da una cotica di bave muschiose che renda più morbido il tonfo. A onta dei salti olimpionici, le rane non mi han l'aria di avere animo di sportive: son sonnolente, tristi e nostalgiche, forse magari un po' borghesi. Ma il loro canto si riscatta in una levità argentata, un po' stridente, come di lieve incrinatura di pianto, ma di una pacatezza classica. Forse, nel gran silenzio della notte, le rane piangono la loro prossimità coi rospi e cantano la loro nostalgia d'ali, di penne, di aeree levità. Immerse nei loro stagni fermi e un po' putridi cantano il desiderio di navigazioni celesti.
Nessun commento:
Posta un commento