venerdì 22 agosto 2014

ALBA ( ADA NEGRI)

Quasi ancora nel sonno, odo parole
gravi, materne, di campane. E' l'Ave
Maria : da San Michele, da San Luca,
e , più lungi, dal Carmine. Se schiudo,
torpida, gli occhi, vedo un che di bianco
ai vetri : lieve ; e un esitar dell'ombra.
Un altro giorno, dunque? Le campane
mi dicono : Sei viva - Ma nel sonno
ero morta, ero morta - e questo lento
rinvenire è il risorgere di Lazzaro
dal sepolcro di pietra. Ecco : ritrovo
me stessa : col mio corpo e col mio nome
e il senso della mia carne profonda
e il palpitar del mio tenace cuore
che non s'arrende. Si rannodan fili
di pensiero interrotto : a fior dell'anima
torna la pena che un clemente oblio
m'avea tolta nel sonno : tutto torna
come fu ieri, come pur sarà
domani. Io, sempre. Io, sola. Io, che non posso
mutare, perché Dio così m'ha fatta
nella sua volontà. Meglio era forse
non ridestarsi: lungo l'acque cieche
dell'immemore sonno al cieco fiume
affluir della morte. Ma non può
morir chi vuole. Ed è, forse, più dolce
ch'io non pensi al pallor di questo cielo
ai vetri, e il suo stupor, che rassomiglia
al mio, dinanzi alla segreta legge
per cui s'alterna con la notte il giorno.

Io ti prego, mio Dio, per questo giorno
che ancor m'imponi ( e pur, Tu che sai tutto,
la mia stanchezza sai): fa ch'io l'accetti
come una prova : fa ch'io lo trascorra
dimentica di me, viva soltanto
alla pietà per altri, unica forza
che mi difenda da me stessa ; e in pace
io lo chiuda con Te, come se l'ultimo
della mia vita fosse, e la sua notte
più non attenda il ritornar del sole.


Nessun commento:

Posta un commento