Se apro la porta a vetri del mio studio mi trovo affacciata nel cielo: un terrazzo, vasto come due buone camere, che io chiamo, con un poco di amplificazione e di buona volontà "il giardino". Ma non è appellativo del tutto gratuito o sprecato perché è tutto verde e fiorito come un piccolo orto pensile, un pezzo di campagna al quinto piano, più vicino alle nuvole che agli orti della terra.
Ogni tanto, al mattino, mi serba una sorpresa: una sorpresa candida o fiammante che ha preparato nella notte. Stamane è stata la volta di un tulipano.
Non avevo mai visto un tulipano così ardente. Di fuori i petali han come una difesa di pallore ma all'interno il calice ha tutte le accensioni della fiamma e del sangue. E' uscito da poco dal sottosuolo, arditamente, ed ora ha inalberato la corolla come una profezia d'estate: profezia di stagioni favolose, che dormono nascoste, in fondo al cuore, come bimbi in esilio.
Un tulipano solo; ma è una totale primavera. Un fiore: il più inutile scialo di Dio.
Non è economo Dio. Non conosce le nostre contabilità da ragionieri, non si preoccupa delle proporzioni tra sforzo e risultato.Probabilmente sarebbe un pessimo operatore economico se portasse i suoi metodi nel ritmo industriale della terra.Ma se ne guarda bene. Lascia a noi i nostri bilanci faticati e Lui rimane in cielo a sprecare corolle di fiori, lucciole maggiolino, manciate di stelle come coriandoli, a carnevale. Perché mai fiori ? I naturalisti, preoccupati dell'attendibilità dei loro bilanci utilitari, dalla proporzione contabile tra la causa e l'effetto, ci han raccontato che il fiore serve per la riproduzione. Non è il caso di prenderli sul serio! Chi ha visto mai il fiore di gramigna, la più tenacemente fertile delle piante dei prati?E chi può dar ragione, su un piano di fisica necessità, degli iridati arcobaleni chiusi nei cuori delle pietre preziose?
Diversa è la necessità cui il fiore obbedisce: è una "necessità" di Dio, più che del fiore e dei suoi piccoli problemi coniugali: è la necessità di Dio d'esser Se stesso: un creatore di bellezza. Ed è la sua pietà verso di noi, che ci consola dall'esilio con una sopravvivenza del Giardino.
Nel celebrare l'unione tra l'uomo e il Creatore, che ricrea l'amicizia originale, il Cantico celebra la primavera. Nessun'altra pagina della Bibbia è così ebbra di fiori, di colori, di profumi terrestri, che si aprono un faticoso varco tra le brume invernali della colpa "...hiems transiit, imber abiit et recessit". L'inverno è consumato dalla redenzione, ma c'è stato e ha raggelato il cuore della terra. Le piogge si sono rasciugate, al vento tepido della primavera, ma son cadute, a lungo, e hanno infradiciato gli orti, i giardini, hanno infangato i nostri piedi. Un passato pesante, motoso, doloroso che però cede lentamente, al clima della terra promessa, fertile e lieta come la prima terra. Su questo paesaggio, rinnovato da un ritmo stagionale che è segno del processo della grazia, si scioglie, si effonde, si dispiega, il fasto della primavera "Flores apparuerunt in terra nostra": i fiori: il segno della dovizia creatrice che annuncia la misericordia della restaurazione.
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