...In vita la poetessa americana cura il giardino di casa con le sue rose, i gigli, gli hemerocallis, i garofanini, i narcisi, le fritillarie, i malvoni, gli anemoni, i piselli odorosi, le dalie, gli aster, i delphinium, le salvie e i melograni. Cagionevole di salute e sofferente di una grave malattia agli occhi, ottiene dal padre avvocato e membro del Parlamento di far costruire una piccola serra dove dedicarsi estate e inverno alla cura di piante tropicali allora rare, come il gelsomino, le gardenie, le camelie e le orchidee. Le piante selvatiche, quelle più umili in particolare, sono di gran lunga le sue preferite. Nelle sue lunghe passeggiate solitarie sulle colline di Amherst,raccoglie fiori e foglie che dispone ordinatamente in un erbario. Autrice di lettere argute e brillanti, spesso allega un fiore essiccato agli scritti e alle poesie che invia agli amici. Nell'Ottocento i fiori avevano un loro specifico linguaggio, designavano sentimenti inespressi. Emily Dickinson lo conosce, ma usa il mondo naturale, con le sue api, i suoi uccelli, i suoi fiori di campo, i suoi serpenti e i suoi prati di trifoglio, come piattaforma per giravolte e danze dell'intelletto che ruotano attorno alla sua principale preoccupazione : l'anima.
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La Dickinson si nasconde dietro i fiori, li usa come ambasciatori, è una fine conoscitrice della botanica ma, come sottolinea l'autrice di "The Gardens of Emily Dickinson" Judith Farr, considera le piante alla stregua di esseri umani. Per lei l'erba resta attonita davanti al pallido tubo di un soffione, le rose di macchia arrossiscono nella palude, i boschi sono pieni di pianoforti, la genziana ammalia, i ranuncoli flirtano con lei, e l'ape che per la Dickinson è la traditrice per eccellenza, perchè ama un fiore e poi subito lo lascia per un altro, "sfoggia sillabe di seta e scarpa snella". "Natura è melodia" scrive la poetessa americana. Per lei "essere un fiore, è profonda responsabilità".Il mondo naturale è stato, forse, la fonte della gioia più autentica per la Dickinson che, parca come un uccellino, di briciole ha vissuto. "La fama limitata del trifoglio che solo la mucca ricorda- è meglio dei reami patinati della notorietà " annota. Pochi sono i poeti che dipingono con tanta esattezza la fioritura dei lillà, i bordi frastagliati delle genziane, il grondare della pioggia con i suoi "dolci occhi", lo schiudersi di un dente di leone, le sciarpe rosse dei pettirossi, lo scivolare di una serpe nell'erba. Nell'isolamento della sua stanza spartana, con la sua calligrafia spigolosa, scrive una poesia che sembra un testamento, la 441 ."Questa è la mia lettera al mondo/che non ha mai scritto a me-/le semplici cose che la natura ha detto - con tenera maestà/. Il suo messaggio è affidato /a mani che non posso vedere- / Per amore di lei - amici miei dolci - con tenerezza giudicate - me."
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