Lieto tra ombre e sole,
come il più bel giocattolo,
nel bosco lo scoiattolo
ruba ghiande e nocciole.
Come dev'esser bello
avere un bosco intero
e, come in un castello
lontano dal sentiero,
abitare il più antico
albero, il più paterno,
e averlo per amico
nei mesi dell'inverno
quando più c'è bisogno
d'un buon riparo, largo
che basti per quel sogno
che si chiama letargo.
Come più bello ancora,
quando la gemma esplode
sui rami e intorno s'ode
quell'uccellin che accora
il bosco d'una lieta
attesa, e l'aria incrina,
e chiara è la mattina,
e il ciel tutto di seta;
come dev'esser bello
svegliarsi nel tepore
del piccolo castello;
uscir col batticuore,
scoprire il mondo, un breve
mondo che sa di buono;
tremare al primo tuono ;
veder l'ultima neve
farsi acqua da bere
e correr via felice ;
sentir quello che dice,
goder del suo piacere.
Salutare dal ramo
il riccio buon vicino :
- Che dolce tempo abbiamo!
- Buondì, scoiattolino.
E alla talpa : - Signora,
come avete dormito!
- Oh, un sonno saporito!
ma dormirei ancora.
Scostata la tendina
che s'è tessuta il ragno
sui rami del castagno,
tra ciuffi d'albaspina,
nel bosco, il sol, discioglie
tra l'ombra più segreta
lunghe scale di seta,
scende tra rami e foglie
l'estate tutta d'oro.
Allora la foresta
vive giorni di festa,
splende di verde alloro
e di fiori perfetti.
Vive in un mormorio
d'affaccendati insetti,
ed è piena di Dio.
Oh, il tuo regno! che grande
regno, scoiattolino.
Non conosco un giardino
più bello e delle ghiande
un più saziante frutto.
Il Signore lo sa,
ed ecco che ne dà,
perché il Signor può tutto.
Malato è il bosco. E tu,
scoiattolo contento,
ne sentivi il lamento
senza chieder di più.
Il bosco, arrugginito
come un ferro perduto,
dal cuore ormai ferito
ti manda il suo saluto.
Ti dice: - Amico mio,
che bei sogni faremo.
Oh, non ti dico addio
perché ci rivedremo.
Or tra le scorze rotte
dell'albero più antico,
fatti un riparo, amico.
Dormiamo. E buona notte.
Così come giocattoli
che abbian le molle rotte
dormono gli scoiattoli
tutta una lunga notte,
tutto un inverno intero.
Chissà che sogni fanno.
Gli alberi, lo sapranno.
Io non lo so davvero.
venerdì 30 gennaio 2015
venerdì 23 gennaio 2015
LA NEVE VOLA DI NOTTE ( da " Con quella luna negli occhi " di A. Zarri ed Einaudi
....
Ricordo ancora lo stupore di certe mattinate bianche, quando la neve era caduta la notte, quasi di soppiatto, e il giorno trovava tutto trasformato : un mondo nuovo, più aereo, più giovine, più lieve. Ogni rametto aveva attorno la sua camiciola di ghiaccio come una candida armatura contro le offese della nebbia, e le strade avevano una morbida coperta contro il cammino della gente. Gli uomini camminavano ma non toccavano terra, non facevano rumore, sembrava che avessero perso peso e corpo : ombre discrete, impallidite dal danzare delle falde che stendeva un velo bianco sul bianco.
Il mio amore per la neve era puro e disinteressato, prescindeva da ogni altra considerazione che non fosse la sola bellezza del mondo messo a nuovo da quel leggero carico di bianco.
....
La finestra dai vetri un poco affumicati, era lì ad aspettare il mio nasino. Ce l'incollavo sopra e e rimanevo con lo sguardo per aria a guardare la danza delle falde sul grigio pallido del cielo.
Dietro alle spalle, anche senza vedere, sentivo il calore di una vecchia cucina di campagna, coi rami appesi alle pareti, il camino fumoso e - a sera - la polenta che si versava sul tagliere come una luna gialla caduta sulla tavola.
Ma qualche volta, se faceva sereno, la luna era anche nel cielo : la luna vera, bianca, splendida, di una luce incredibile. E quando il bianco della luna splende sul bianco della neve la terra sembra che voli, come un gabbiano immenso, nel cielo disertato dalle stelle e fatto vuoto di stupore per accogliere quel gran volo di luce.
Tutti i camini erano accesi, ogni tetto regalava il suo fumo alla notte troppo fredda ; e i fili azzurri, in alto, si cercavano, come esili mani calde a consolare la disumana serenità del cielo. Il crudo cristallo a poco a poco si ammorbidiva, si velava, si odorava di sterpi secchi e di castagne abbrustolite. L' odore delle cene si spandeva nell'aria e la faceva meno rigida. I vetri appannati delle case nascondevano il fuoco e la tovaglia stesa sulla tavola. E sopra lune gialle di polente, biondi vapori di brodo, fruscianti e famose caldarroste. E sopra tutto la letizia del vino. Sulla mensa del povero poteva mancare la carne ma non mancava il vino ; il vino, anzi, col suo calore vigoroso, suppliva a quello che non c'era : sostituiva la carne, la frutta, anche le bionde caldarroste.
Era l'ora più animata del giorno. Sul disordine lieto della tavola si riscaldavano i discorsi, si accendeva il sorriso. Un'ora dopo era ancora il silenzio.
Di tutta la luminaria che aveva fatto della terra un piccolo presepe restavano accese solamente le finestre delle stanze da letto ; poi lentamente si spegnevano anche quelle. In cielo, regale, solitaria, senza più concorrenze, rimaneva la luna. E la terra riprendeva a volare, nel firmamento silenzioso, incontro al candido mattino.
Ricordo ancora lo stupore di certe mattinate bianche, quando la neve era caduta la notte, quasi di soppiatto, e il giorno trovava tutto trasformato : un mondo nuovo, più aereo, più giovine, più lieve. Ogni rametto aveva attorno la sua camiciola di ghiaccio come una candida armatura contro le offese della nebbia, e le strade avevano una morbida coperta contro il cammino della gente. Gli uomini camminavano ma non toccavano terra, non facevano rumore, sembrava che avessero perso peso e corpo : ombre discrete, impallidite dal danzare delle falde che stendeva un velo bianco sul bianco.
Il mio amore per la neve era puro e disinteressato, prescindeva da ogni altra considerazione che non fosse la sola bellezza del mondo messo a nuovo da quel leggero carico di bianco.
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La finestra dai vetri un poco affumicati, era lì ad aspettare il mio nasino. Ce l'incollavo sopra e e rimanevo con lo sguardo per aria a guardare la danza delle falde sul grigio pallido del cielo.
Dietro alle spalle, anche senza vedere, sentivo il calore di una vecchia cucina di campagna, coi rami appesi alle pareti, il camino fumoso e - a sera - la polenta che si versava sul tagliere come una luna gialla caduta sulla tavola.
Ma qualche volta, se faceva sereno, la luna era anche nel cielo : la luna vera, bianca, splendida, di una luce incredibile. E quando il bianco della luna splende sul bianco della neve la terra sembra che voli, come un gabbiano immenso, nel cielo disertato dalle stelle e fatto vuoto di stupore per accogliere quel gran volo di luce.
Tutti i camini erano accesi, ogni tetto regalava il suo fumo alla notte troppo fredda ; e i fili azzurri, in alto, si cercavano, come esili mani calde a consolare la disumana serenità del cielo. Il crudo cristallo a poco a poco si ammorbidiva, si velava, si odorava di sterpi secchi e di castagne abbrustolite. L' odore delle cene si spandeva nell'aria e la faceva meno rigida. I vetri appannati delle case nascondevano il fuoco e la tovaglia stesa sulla tavola. E sopra lune gialle di polente, biondi vapori di brodo, fruscianti e famose caldarroste. E sopra tutto la letizia del vino. Sulla mensa del povero poteva mancare la carne ma non mancava il vino ; il vino, anzi, col suo calore vigoroso, suppliva a quello che non c'era : sostituiva la carne, la frutta, anche le bionde caldarroste.
Era l'ora più animata del giorno. Sul disordine lieto della tavola si riscaldavano i discorsi, si accendeva il sorriso. Un'ora dopo era ancora il silenzio.
Di tutta la luminaria che aveva fatto della terra un piccolo presepe restavano accese solamente le finestre delle stanze da letto ; poi lentamente si spegnevano anche quelle. In cielo, regale, solitaria, senza più concorrenze, rimaneva la luna. E la terra riprendeva a volare, nel firmamento silenzioso, incontro al candido mattino.
venerdì 16 gennaio 2015
SILENZIO ( Giovanni Prati 1815-1884)
Il silenzio del ciel, quando v'ascende
il notturno e solingo astro d'argento;
il silenzio del mar, quando si stende
sconfinato, senz'onda e senza vento;
il silenzio dell'alpi, ove ne' armento
bela, ne' foco di pastor s'accende ;
e il silenzio del verde, ove ogni spento
trae la gran notte, e il suo mattino attende ;
un'infinita novità di cose
va mormorando nell'amara valle
questo silenzio all'anime pensose.
E, in compagnia di questo, andar sovente
piacemi per lo mio romito calle,
mentre aggrada far altro a l'altra gente.
il notturno e solingo astro d'argento;
il silenzio del mar, quando si stende
sconfinato, senz'onda e senza vento;
il silenzio dell'alpi, ove ne' armento
bela, ne' foco di pastor s'accende ;
e il silenzio del verde, ove ogni spento
trae la gran notte, e il suo mattino attende ;
un'infinita novità di cose
va mormorando nell'amara valle
questo silenzio all'anime pensose.
E, in compagnia di questo, andar sovente
piacemi per lo mio romito calle,
mentre aggrada far altro a l'altra gente.
lunedì 12 gennaio 2015
Da "PETALI SULLE CENERI " DI R. TAGORE
Il fiume è azzurro e le ventate cariche
di nuvole di sabbia.
Mattina inquieta e scura! Gli uccelli azzittiti
in fondo ai loro nidi scossi dal vento,
mentre il mio abbandono mormora .
" e Lei dove può essere?".
Una volta, seduti vicini vicini, lasciavamo
fuggire il tempo. Tra giochi e risate,
la grandezza dell'amore non trovava espressione.
Io ero soddisfatto di piccole cose,
Lei dilapidava le ore in ciarliere futilità.
Oggi invano la vorrei qui, nella malinconia
di questo vicino temporale, nell'anima
di questa solitudine!
di nuvole di sabbia.
Mattina inquieta e scura! Gli uccelli azzittiti
in fondo ai loro nidi scossi dal vento,
mentre il mio abbandono mormora .
" e Lei dove può essere?".
Una volta, seduti vicini vicini, lasciavamo
fuggire il tempo. Tra giochi e risate,
la grandezza dell'amore non trovava espressione.
Io ero soddisfatto di piccole cose,
Lei dilapidava le ore in ciarliere futilità.
Oggi invano la vorrei qui, nella malinconia
di questo vicino temporale, nell'anima
di questa solitudine!
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