I
Escono allegri i bambini
dalla scuola,
lanciando nell'aria tiepida
d'aprile, tenere canzoni.
Quanta allegria nel profondo
silenzio della stradina!
Un silenzio fatto a pezzi
da risa d'argento nuovo.
II
Vado pel cammino della sera,
tra i fiori dell'orto,
lasciando sulla strada
l'acqua della mia tristezza.
Sul monte solitario
un cimitero di paese
sembra un campo seminato
con semi di teschi.
E sono fioriti i cipressi
come teste giganti
che con orbite vuote
e chiome verdognole
pensosi e dolenti
l'orizzonte contemplano.
Divino aprile, che vieni
carico di sole e di essenze,
colma di nidi d'oro
i teschi fioriti!
lunedì 28 aprile 2014
sabato 19 aprile 2014
LA PASQUA DEI POVERI ( CARLO BETOCCHI 1899 -1986)
Forse per noi, che non abbiam che pane,
forse più bella è la tua Santa Pasqua,
o Gesù nostro, e la tua mite frasca
si spande, oliva, nelle stanze quadre.
Povero il cielo e povere le stanze,
Sabato Santo, il tuo chiaror ci abbaglia,
e il nostro cuore fa una lenta maglia
col cielo che ne abbraccia le speranze.
Semplice vita, alle nostre dimande
tu ci rispondi : Su, coraggio, andate !
Noi t'ubbidiamo : e questa povertà
non ha bisogno più d'altre vivande.
Noi siamo tanti quanti alla campagna
sono gli uccelli sulle mosse piante,
cui sembra ancor che le parole sante
giungan col vento e l'acqua che li bagna.
A noi, non visti, nelle grige stanze,
miriadi in mezzo alla città che fuma,
Sabato Santo, la tua luce illumina
solo le mani, unica festa, stanche.
A noi la pace che verrà, operosa
già dentro il cuore e sulla mano sta,
che ti prepara , o Pasqua, e che non ha
che il solo pane per farti festosa.
forse più bella è la tua Santa Pasqua,
o Gesù nostro, e la tua mite frasca
si spande, oliva, nelle stanze quadre.
Povero il cielo e povere le stanze,
Sabato Santo, il tuo chiaror ci abbaglia,
e il nostro cuore fa una lenta maglia
col cielo che ne abbraccia le speranze.
Semplice vita, alle nostre dimande
tu ci rispondi : Su, coraggio, andate !
Noi t'ubbidiamo : e questa povertà
non ha bisogno più d'altre vivande.
Noi siamo tanti quanti alla campagna
sono gli uccelli sulle mosse piante,
cui sembra ancor che le parole sante
giungan col vento e l'acqua che li bagna.
A noi, non visti, nelle grige stanze,
miriadi in mezzo alla città che fuma,
Sabato Santo, la tua luce illumina
solo le mani, unica festa, stanche.
A noi la pace che verrà, operosa
già dentro il cuore e sulla mano sta,
che ti prepara , o Pasqua, e che non ha
che il solo pane per farti festosa.
lunedì 14 aprile 2014
IL PASSEROTTO di Giov. Cenci da "Affetti gentili"
In tutto il mondo, un uccellin vivace
ardito e furbo, vive
in branchi, degl' insetti assai vorace,
tranquillo, all'aure estive
non solo, ma in tutte le stagioni,
e ne le vie e piazze,
negli orti, sui camini e cupoloni,
ed è di molte razze.
Sebben de l'uomo sia concittadino,
pure alla larga sta;
sempre sospettoso e maliziosino,
co' suoi compagni va.
Sa che l'amor dei grandi va scansato,
per cui usa prudenza;
sicchè di loro è poco innamorato,
e non fa confidenza,
L'intimità de' grandi è perigliosa;
e il passero monello
non vuole conseguenza fastidiosa
di mal gradito ostello.
Però se dopo lunghe e tante prove,
trova l'amico schietto,
a lui tutto si dona, e non si move
dal suo desco e letto.
Socievoli fra loro i passerotti,
sempre lor nido fanno,
e in essi cheti cheti e chiotti chiotti,
tranquilli se ne stanno.
A uno, a due e tre, a quattro e in più
a la campagna nuda,
taciti e muti, vanno, e giù e su,
per cibo all'aura cruda.
Che cinguettio, e che concerto fanno,
su gli alti e folti pini,
ove concilio fratellevol' anno,
e al nido i lor piccini!
Come son belli quando in su la neve
ci ci, ci ci, cantando,
insieme vanno, e ognuno mangia e beve,
quasi d'amor parlando.
Or chi li pasce in tempo sì crudele?
e chi li veste bene?
essi non ànno foco e nè candele;
dunque chi li sostiene?
Se tu guardi, lettore, in San Matteo,
al capitolo sesto,
con mente pura e senza affetto reo
e di San Luca il resto;
Gesù ti parlerà dei cari augelli,
e d'un celeste Padre,
che pasce, veste , cura e rende belli
più che tenera madre
e per sì belle e care creature,
insegna a noi ingrati,
di fuggir l'ansie in tutte nostre cure,
essendo i molto amati.
O noi di poca fede, s'apra il core
a la più dolce speme;
ch'eterno, saggio e forte, il Primo Amore
veglia su l'alme insieme.
ardito e furbo, vive
in branchi, degl' insetti assai vorace,
tranquillo, all'aure estive
non solo, ma in tutte le stagioni,
e ne le vie e piazze,
negli orti, sui camini e cupoloni,
ed è di molte razze.
Sebben de l'uomo sia concittadino,
pure alla larga sta;
sempre sospettoso e maliziosino,
co' suoi compagni va.
Sa che l'amor dei grandi va scansato,
per cui usa prudenza;
sicchè di loro è poco innamorato,
e non fa confidenza,
L'intimità de' grandi è perigliosa;
e il passero monello
non vuole conseguenza fastidiosa
di mal gradito ostello.
Però se dopo lunghe e tante prove,
trova l'amico schietto,
a lui tutto si dona, e non si move
dal suo desco e letto.
Socievoli fra loro i passerotti,
sempre lor nido fanno,
e in essi cheti cheti e chiotti chiotti,
tranquilli se ne stanno.
A uno, a due e tre, a quattro e in più
a la campagna nuda,
taciti e muti, vanno, e giù e su,
per cibo all'aura cruda.
Che cinguettio, e che concerto fanno,
su gli alti e folti pini,
ove concilio fratellevol' anno,
e al nido i lor piccini!
Come son belli quando in su la neve
ci ci, ci ci, cantando,
insieme vanno, e ognuno mangia e beve,
quasi d'amor parlando.
Or chi li pasce in tempo sì crudele?
e chi li veste bene?
essi non ànno foco e nè candele;
dunque chi li sostiene?
Se tu guardi, lettore, in San Matteo,
al capitolo sesto,
con mente pura e senza affetto reo
e di San Luca il resto;
Gesù ti parlerà dei cari augelli,
e d'un celeste Padre,
che pasce, veste , cura e rende belli
più che tenera madre
e per sì belle e care creature,
insegna a noi ingrati,
di fuggir l'ansie in tutte nostre cure,
essendo i molto amati.
O noi di poca fede, s'apra il core
a la più dolce speme;
ch'eterno, saggio e forte, il Primo Amore
veglia su l'alme insieme.
giovedì 10 aprile 2014
PRIMAVERA ( GIUSEPPE VILLAROEL 1889 -1965 )
Il sole batte, con le dita d'oro,
alle finestre. Uno squittio sottile
è sui tetti. Nell'orto la fontana
ricomincia a cantare. E' primavera.
Le chiese, in alto, con le croci accese,
i monti immensi con le cime rosa,
le strade bianche con gli sfondi blu.
E' primavera. Il cielo
spiega gli arazzi delle nubi al vento.
L'albero gemma. Verzica la terra.
Nel cortile la pergola è fiorita.
Ai balconi : le donne in vesti chiare.
E' primavera. E il mare
ha un riso azzurro e un brivido di seta.
alle finestre. Uno squittio sottile
è sui tetti. Nell'orto la fontana
ricomincia a cantare. E' primavera.
Le chiese, in alto, con le croci accese,
i monti immensi con le cime rosa,
le strade bianche con gli sfondi blu.
E' primavera. Il cielo
spiega gli arazzi delle nubi al vento.
L'albero gemma. Verzica la terra.
Nel cortile la pergola è fiorita.
Ai balconi : le donne in vesti chiare.
E' primavera. E il mare
ha un riso azzurro e un brivido di seta.
venerdì 4 aprile 2014
IL PRATO ( ADA NEGRI )
C'era un prato: con folte erbe, frammiste
a bianchi fiori, e gialli e violetti ;
e fra esse un brusio di mille piccole
vite felici ; e se sull'erbe e i fiori
spirava il vento, con piegar di steli
tutto il prato nel sol trascolorava.
Io pur, tuffando i piè leggeri in quella
freschezza, e piena l'anima di fonti
canore, io pur trascoloravo al vento
che non sapea s'io fossi stelo o donna.
E volavan farfalle, uguali a petali
sciolti dai gambi , e si perdean rapiti
i miei pensieri in quell'area danza
ove l'ala era il fiore e il fiore l'ala.
Ma dov'era quel prato? Non so più.
E quel vento soave, che scendea
sull'erbe folte, a renderle
curve e beate, e me con loro, in quale
tempo io dunque l'intesi? Non so più.
Fu un sogno, forse. E che mai altro, o vita,
chiedere a te dovrei ?Vita perduta,
nella tua verità non sei che un sogno.
a bianchi fiori, e gialli e violetti ;
e fra esse un brusio di mille piccole
vite felici ; e se sull'erbe e i fiori
spirava il vento, con piegar di steli
tutto il prato nel sol trascolorava.
Io pur, tuffando i piè leggeri in quella
freschezza, e piena l'anima di fonti
canore, io pur trascoloravo al vento
che non sapea s'io fossi stelo o donna.
E volavan farfalle, uguali a petali
sciolti dai gambi , e si perdean rapiti
i miei pensieri in quell'area danza
ove l'ala era il fiore e il fiore l'ala.
Ma dov'era quel prato? Non so più.
E quel vento soave, che scendea
sull'erbe folte, a renderle
curve e beate, e me con loro, in quale
tempo io dunque l'intesi? Non so più.
Fu un sogno, forse. E che mai altro, o vita,
chiedere a te dovrei ?Vita perduta,
nella tua verità non sei che un sogno.
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