domenica 23 marzo 2014

DOLCE AMATA MIA PRIMAVERA ( SCIPIO SLATAPER 1888 - 1915)

   Mi conosceva la terra su cui dormivo le mie notti profonde, e il grande cielo sonante del mio grido vittorioso, quando sobbalzando con l'acque giù per i torrenti spaccati, o franando dai colli in turbine di lavine e di terriccio, d'un colpo di piede rompevo la corsa per cogliere il piccolo fiore cilestrino.
   Correvo col vento espandendomi a valle, saltando allegramente i muriccioli e in gineprai, trascorrendo fiondata sibilante. Risbalestrato da tronco a frasca, atterrato dritto sulle ceppaie e sul terreno, risbalzavo in uno scatto furibondo e rumoreggiavo nella foresta come fiume che scavi il suo letto. E dischiomando con rabbia l'ultima frasca ostacolante, ne piombavo fuori, i capelli irti di stecchi e foglie, stracciato il viso, ma l'anima larga e fresca come la bianca fuga dei colombi impauriti dai miei aspri gridi d'aizzamento.
   E ansante mi buttavo a capofitto nel fiume per dissetarmi la pelle, inzupparmi d'acqua la gola, le narici, gli occhi e m'ingorgavo di sorsate enormi, notando sott'acqua a bocca spalancata come un luccio. Andavo contro corrente abbrancando nella bracciata i rigurgiti che s'abbattevano spumeggianti contro il mio corpo, addentando l'ondata vispa, come un ciuffo d'erba fiorita quando si sale in montagna. E l'ondata mi strappava giù a scossoni, svoltandomi nella correntia e mi rompevo sul fondo ripercotendomi al sole, trascinato per un tratto sulle erte rive, fra radici e sassi invano inghermigliati. Poi m'affondavo, e carrucolandomi per gli scogli rimontavo sfinito la corrente.
   Conoscevo il terreno come la lingua in bocca. Camminando guardavo tutto con affetto fraterno. La terra ha mille segreti. Ogni passo era una scoperta. In ogni luogo sapevo l'ombra più folta e la più vicina caverna quando  mi coglieva la piova.
   Scivolando negli arbusti, tenendomi agganciato al masso dirupante con due dita artigliate in una ferita muscosa della pietra, palpeggiando e sguazzacchiando con la palma aperta sull'orlo degli stagni, andavo spiando la nascita della primavera. Nel nascondiglio più benigno del boschetto, in un calduccio umido di seccume, ancora ancora quasi riscaldato dal sonno di una lepre, io frugando trovavo la prima primola, il primo raggio, il primo raggio di sole! L'occhio stupido della piccola primavera svegliata! E seguivo l'ondeggiar lieve del suo passo, annusando come un cane in traccia, fra radici gonfie e germogli diafani, dietro un alioso sbuffo di rugiade erbose, di terra umida, di lombrichi, di succhi gommosi, un odor di latte vegetale, di mandorle amare - eccolo qui il sorriso roseo dei peschi, incerto com'alba invernale, cara, cara ! e scuote freneticamente questo tronco e quello e questo, spargendomi di petali e di profumo.
   Per terra schizzano violacee pozzerelle d'acqua e il passerotto vi frulla con le ali, a becco aperto. Dolce amata, mia primavera !

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