Dice il Signore : - Ti voglio vestire
di piaghe, le più belle che posso.
Gli tolse i panni, gli mise indosso
cento piaghe da patire.
E vedendolo mansueto
lo bagnò di sale e aceto.
Poi chiamò gente . vedesse,
di quel ch'era, cosa ne ha fatto.
Aspettò che si dolesse,
che rompesse il fermo patto.
d'ubbidire al suo volere:
patire tutto e tacere.
Sulle piaghe gli mandò
tafani, mosche, vespe voraci.
Poi il cuore gl'interrogò:
- Perchè, Giobbe, patisci e taci?
- Non soffro, non sento orrore
di ciò che piace al Signore.
Allora, Dio, nella scodella
gli gettò cose schifose:
- Perchè ridi? - Giobbe rispose:
- Ci vedo in fondo una stella.
Una stella, un grano di riso.
è minestra di Paradiso.
Allora Dio lo fa scacciare
dalle soglie, come letame.
Tutto gli toglie: che abbia fame
e sete, sete da bruciare.
E Giobbe come un agnello
bruca erba, beve al ruscello.
Poi lo benda con due foglie
d'ombra, che non veda.
Anche la luce gli toglie,
perchè pianga, perchè ceda.
E aspetta, lo sguardo fisso
come un fuoco sull'abisso.
Sente Giobbe che andando mormora:
"Signore mio! Mio Signore!"
E' il lamento della tortora,
è speranza, non è dolore.
E dal modo come lo dice
lascia intendere che è felice.
Allora lo sbenda, gli toglie
le piaghe ad una ad una.
Vegga il sole, vegga la luna;
venga gente sulle soglie
ad invitarlo, ospite atteso,
al vino schietto, al fuoco acceso.
Dio lo lava di pioggia celeste,
i capelli gli districa,
gli mette addosso una veste
che non punga come l'ortica,
una veste come ce n'è
nel guardaroba del re.
E dice a tutti, il Signore:
Guardatelo, fu paziente
patì ed era innocente,
si rassegnò per amore.
Chi sanguinando tace
è un operaio di pace.
Sarebbe troppo bello poter vedere realizzata in toto la poesia di Pezzani. Ci provo.nf
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