Era l'alloggio tipico della piccola borghesia di Montmartre, con un cucinino largo poco più di un metro che prendeva luce dal cortile interno, un attaccapanni di bambù nell'ingresso e una sala da pranzo buia, con le tende scure e la tappezzeria a fiori stinta.
Nelle intenzioni dell'architetto, la stanza che Cageot chiamava il suo studio avrebbe dovuto essere il salotto, ed era l'unica della casa ad avere due finestre che la rendevano più luminosa.
Il parquet era tirato a cera; al centro della stanza facevano bella mostra di sè un tappetto scolorito e tre poltrone ricoperte di una stoffa che aveva assunto la stessa tinta indefinibile.
Le pareti color granata erano tappezzate di quadri e di fotografie appesi dentro cornici dorate. Negli angoli c'erano dei tavolini rotondi e degli scaffali carichi di soprammobili di nessun valore.
Vicino alla finestra troneggiava una scrivania di mogano ricoperta di vecchio cuoio, dietro alla quale andò a sedersi Cageot, che ammucchiò da un lato alcuni fascicoli sparsi qua e là.
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