I ricordi arrivano all'improvviso, senza un perché; forse un suono, una luce, un colore, un libro. Mi sono tornati in mente i miei pomeriggi settembrini dalla nonna veneta, quando pioveva e io mi rifugiavo nella legnaia, dove in una vecchia cassapanca una delle mie zie francesi aveva lasciato riviste di moda, e libri di Delly. Una panca vicino alla porta, davanti la piccola vigna, il rumore della pioggia sul tetto di lamiera, il profumo intenso della legna appena tagliata e poi un libro di Delly per sognare....Qualche volta anche il gatto delle vicine per compagnia . Pomeriggi perfetti.
lunedì 23 febbraio 2015
venerdì 13 febbraio 2015
REGINA CARLOTTA ( ALDO PALAZZESCHI )
Ella passa.
La gente s'accalca
ai ferri del cancello,
taluno a voce bassa
si contende il vano
dell'ultimo ferro.
Ella passa.
La gente nell'attesa
guarda il gran castello
nel fondo del piazzale.
Tutto chiuso il castello
tutto vuoto il piazzale.
La reggia non è più
che un lungo interminabile
viale.
Ella passa.
Silenzio.
La gente s'accalca.
Ora s'accomodano in due
per ogni vano di ferro.
Ella passa.
Ai vani del cancello
si zeppano le teste,
si sbarrano cent'occhi
delle genti peste.
"Eppure l'ora è già ,
compiuto dovrebb'essere il suo giro,
l'ora è passata".
Ad ognuna delle teste
s'affaccia lo stessissimo pensiero.
"Che sia malata?
Dove malata?
Che sia caduta?
Dove caduta?
Macchè malata!
Macchè caduta!"
All'angolo dell'umido viale
la Regina appare.
Silenzio sepolcrale.
S'avanza piano piano
quasi strisciasse il suolo,
al solito.
Ognuno par diventato di sasso
davanti al suo passo.
S'avanza.
Ella viene.
"Come si vede bene !"
E' proprio dinanzi al cancello.
A stento trascina
l'enorme mantello nerissimo
che tutta la cuopre.
Le scende dietro in coda infinita
quel pesantissimo vestito di lutto.
Vi corre sopra, come un fiume d'oro,
l'ondulata sua chioma.
Sotto il fitto velo
traspare il volto bianco.
Quel povero sguardo stanco
fissa la terra.
Sempre così, sempre così.
Ella passa e non si volge
alla gente che s'accalca al suo cancello,
sempre quel viso,
sempre quel mantello,
sempre quel passo,
sempre quell'eterno giro intorno al suo castello;
e il giro dura un giorno
Sempre la stessa gente che s'accalca
ai ferri del cancello.
Sempre quel medesimo silenzio.
Il suo giro è finito,
ricomincia il nuovo
attorno al suo castello vuoto.
La gente a poco a poco
spopola il cancello.
La gente s'accalca
ai ferri del cancello,
taluno a voce bassa
si contende il vano
dell'ultimo ferro.
Ella passa.
La gente nell'attesa
guarda il gran castello
nel fondo del piazzale.
Tutto chiuso il castello
tutto vuoto il piazzale.
La reggia non è più
che un lungo interminabile
viale.
Ella passa.
Silenzio.
La gente s'accalca.
Ora s'accomodano in due
per ogni vano di ferro.
Ella passa.
Ai vani del cancello
si zeppano le teste,
si sbarrano cent'occhi
delle genti peste.
"Eppure l'ora è già ,
compiuto dovrebb'essere il suo giro,
l'ora è passata".
Ad ognuna delle teste
s'affaccia lo stessissimo pensiero.
"Che sia malata?
Dove malata?
Che sia caduta?
Dove caduta?
Macchè malata!
Macchè caduta!"
All'angolo dell'umido viale
la Regina appare.
Silenzio sepolcrale.
S'avanza piano piano
quasi strisciasse il suolo,
al solito.
Ognuno par diventato di sasso
davanti al suo passo.
S'avanza.
Ella viene.
"Come si vede bene !"
E' proprio dinanzi al cancello.
A stento trascina
l'enorme mantello nerissimo
che tutta la cuopre.
Le scende dietro in coda infinita
quel pesantissimo vestito di lutto.
Vi corre sopra, come un fiume d'oro,
l'ondulata sua chioma.
Sotto il fitto velo
traspare il volto bianco.
Quel povero sguardo stanco
fissa la terra.
Sempre così, sempre così.
Ella passa e non si volge
alla gente che s'accalca al suo cancello,
sempre quel viso,
sempre quel mantello,
sempre quel passo,
sempre quell'eterno giro intorno al suo castello;
e il giro dura un giorno
Sempre la stessa gente che s'accalca
ai ferri del cancello.
Sempre quel medesimo silenzio.
Il suo giro è finito,
ricomincia il nuovo
attorno al suo castello vuoto.
La gente a poco a poco
spopola il cancello.
venerdì 6 febbraio 2015
LAUDE DEI PACIFICI LAPPONI E DELL'OLIO DI MERLUZZO ( ERNESTO RAGAZZONI)
Ben tappati dentro i poveri,
ma fidati lor ricoveri,
mentre, lento, sui tizzoni
cuoce il lor desinaruzzo
i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.
Fuori il vento piglia a schiaffi
quattro o cinque abeti squallidi :
gli orsi bianchi sono pallidi
pel gran freddo, e si dan graffi
l'un con l'altro per distrarsi...
Oh bisogna ricordarsi
che ormai nevica da mesi ;
fiumi e rivi presi al laccio
dell'inverno, son di ghiaccio
( e che ghiaccio ! perché il ghiaccio
è assai freddo in quei paesi)
Ma che importa lor? Ghiottoni
dallo stomaco di struzzo,
i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.
E son là, raccolti e stretti,
padre, madre, zii, bambini,
(battezziamoli lappini
i lapponi pargoletti?)
e poi c'è la nonna, il nonno,
qualche amico dei vicini;
ciascun preso già dal sonno
perché l'epa troppo piena
già di grasso di balena,
pure, a nuove imbandigioni
ogni dente torna aguzzo,
e i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.
Beatissimi! Fra poco,
tutti quanti russeranno
in catasta attorno al fuoco.
Poi, doman, si leveranno,
mangeranno e riberranno
il buon olio di cui sopra,
e così per tutto l'anno
sempre ...fin che moriranno.
Così svolgesi la loro
vita piana e senza scosse,
senza mai quell'ansia insana
che ci muta in pellirosse ;
senza il fiel, senza la bile
necessari all'uom civile.
Ho da dirvelo? Una smania
prepotente mi dilania,
ed invan da più stagioni
in me dentro la rintuzzo...
Vò in Lapponia, tra i lapponi
a ber l'olio di merluzzo.
ma fidati lor ricoveri,
mentre, lento, sui tizzoni
cuoce il lor desinaruzzo
i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.
Fuori il vento piglia a schiaffi
quattro o cinque abeti squallidi :
gli orsi bianchi sono pallidi
pel gran freddo, e si dan graffi
l'un con l'altro per distrarsi...
Oh bisogna ricordarsi
che ormai nevica da mesi ;
fiumi e rivi presi al laccio
dell'inverno, son di ghiaccio
( e che ghiaccio ! perché il ghiaccio
è assai freddo in quei paesi)
Ma che importa lor? Ghiottoni
dallo stomaco di struzzo,
i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.
E son là, raccolti e stretti,
padre, madre, zii, bambini,
(battezziamoli lappini
i lapponi pargoletti?)
e poi c'è la nonna, il nonno,
qualche amico dei vicini;
ciascun preso già dal sonno
perché l'epa troppo piena
già di grasso di balena,
pure, a nuove imbandigioni
ogni dente torna aguzzo,
e i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.
Beatissimi! Fra poco,
tutti quanti russeranno
in catasta attorno al fuoco.
Poi, doman, si leveranno,
mangeranno e riberranno
il buon olio di cui sopra,
e così per tutto l'anno
sempre ...fin che moriranno.
Così svolgesi la loro
vita piana e senza scosse,
senza mai quell'ansia insana
che ci muta in pellirosse ;
senza il fiel, senza la bile
necessari all'uom civile.
Ho da dirvelo? Una smania
prepotente mi dilania,
ed invan da più stagioni
in me dentro la rintuzzo...
Vò in Lapponia, tra i lapponi
a ber l'olio di merluzzo.
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