mercoledì 29 febbraio 2012

oggi 29 febbraio...

Oggi 29 febbraio è una calda giornata di sole ( si sono 27 gradi ed esattamente un mese fa  era caduta la prima abbondante neve), il cielo azzurro è senza nubi e le Alpi sono brillanti e vicine. Cinguettano i passerotti , un cane abbaia lontano e il gatto dei vicini è tornato in esplorazione. Le rose sono emerse dai cumuli di neve e sono ricche di germogli anche se hanno perso qualche ramo; il gelsomino giapponese esplode di giallo e i tulipani, i giacinti e i narcisi sono pronti a sbocciare. PRIMAVERA!


fotografia Piero Reggio

lunedì 27 febbraio 2012

ritorno di un ricordo

Sono stato a lungo un ragazzo
senza sapere
della luna d'inverno
e senza volere
il sole d'agosto.
Per gioco
la disperazione
volò su gelide acque
e si posò sul mio cuore
lasciandomi il sonno
degli anni
e delle foglie
che cadono d'autunno con la pioggia.
Ho navigato
con vele di carta
e timoni di vento;
cavalcato
cavalli di legno.
Lei
mi diede amore.

domenica 26 febbraio 2012

perchè oggi c'è aria di primavera :TORNA NELL'ARIA ( DIEGO VALERI 1887- 1976)

TORNA NELL'ARIA QUEL SOAVE LUME
DI PERLA, TRALUCENTE
DAL TORBIDO VELARIO DELLE BRUME.
E TORNA IL PIANTO DOLCE
DEI MURI SCALCINATI,
DEGLI ALBERI IMPIETRATI,
DEI VUOTI OCCHI DEI MORTI.
E QUEST'ALITO FRESCO DI VIOLE.

fotografia Piero Reggio

sabato 25 febbraio 2012

aria di primavera

A FIOR DI PELLE
SENTO LA PRIMAVERA.
POI LA STANCHEZZA.

ASPETTO IL GIALLO
IL GIALLO DELLE PRIMULE
ACCANTO AI FOSSI.

fotografia Piero Reggio

venerdì 24 febbraio 2012

avevo una città

Avevo una città
l'amavo
potevo
morire tranquillo
in qualunque momento
per le vie
nelle piazze
in qualche vicolo
senza affanno
piano.
Le campane
avrebbero suonato
lenti rintocchi
come per mio padre
mia madre
nella stessa chiesa
dove fui battezzato
e sposo.
No!
Non posso morire così
ora
in questa città.
Aspetta morte
che le strade e i vicoli
conoscano i miei passi
che albe
e tramonti
estati
e inverni
scavino ricordi.
Aspetta
aspetta la mia nuova storia
morte.

giovedì 23 febbraio 2012

L'Italia fra fine Ottocente e inizio Novecento raccontata da Enzo Biagi in "Quante donne"

Circolano in Italia 226 automobili : non occorre la patente; e Leo Chavez, su un aeroplano di tela e di legno, attraversa le Alpi e va a cascare dalle parti di Domodossola.
L'industria decolla : si distinguono il signor Tosi, meccanica, il signor Pirelli, gomma, il signor Cantoni, cotone, e a Torino nove soci, tra cui il cavalier Giovanni Agnelli, fondano la Fiat. La prima vettura che esce dalla loro officina può raggiungere i 35 chilometri all'ora.
Il vocabolario annota parole nuove: socialismo, sindacalismo, futurismo: sono giovanotti, gli amici di Marinetti, che vogliono uccidere il chiaro di luna e glorificare la guerra. Il reddito pro capite è di 2000 lire. Sul palcoscenico della Scala va in scena il Ballo Excelsior, che è un inno al Progresso: per rappresentare le meraviglie dell'elettricità, le danzatrici hanno in mano una lampadina, ma ci sono in giro ancora tante lampade a olio o ad acetilene, e si consumano milioni di candele.
Centotrentotto milanesi guadagnano più di 100.000 lire all'anno, ma per il resto della popolazione 100 lire al mese costituiscono un miraggio. Le paghe si aggirano sulle 2, 3 lire al giorno, una per i braccianti, ma per una famiglia con quattro bambini ci vorrebbe qualcosa di più. Hanno fatto il conto: L. 1,30 per tre chili e mezzo di pane, 25 centesimi per mezzo chilo di pasta, 40 centesimi per due etti e mezzo di carne, e 30 per i fagioli, più 5 di sale, pepe e olio per condirli, 35 centesimi di vino, 50 per la pigione, 50 per i "vizi " del capo: sigaro, qualche bicchiere, un'aringa; 30 centesimi per la colazione, e si arriva a un totale di L. 3.95. Niente vestiti o scarpe, niente divertimenti.
Questa epoca, tanto rimpianta, dunque non è splendida per tutti. Su 100 italiani, 40 non sanno nè leggere nè scrivere. Sorgono le Camere del Lavoro e le prime Leghe operaie e contadine. I minatori in Sardegna stanno sottoterra otto ore; la paga delle donne va da 0.60 a 1.20, quella degli uomini da 0.80 a 2 lire. Certo si parla già di femminismo: a Roma, nel 1908 si raduna addirittura un congresso e si discute di tutto. salario e amore, anche in senso fisiologico, diritti e politica.
C'è tra i ministri, un severo signore piemontese che si rende conto del disagio della "plebe", della necessità di aprire la strada del potere alle grandi masse, Giovanni Giolitti, ma il Corriere di Albertini lo bolla:"Il bolscevico dell'Annunziata".
Su pressione dei socialisti, entra in vigore l'assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro. L'Ottocento, "il secolo più savio e fortunato della storia italiana" è finito:si cambia.
Duecentomila sudditi del Regno, nel 1900, vanno a cercare fortuna oltre Atlantico. L'anno seguente, saranno mezzo milione. La metà sono siciliani e analfabeti. Vengono stipati come bestie su navi armate alla meglio, e che impiegano quasi un  mese per arrivare a New York, e quaranta giorni per attraccare ai porti del Mar della Plata. Solo in cinque province non c'è la malaria, siamo in troppi e c'è poca terra da seminare, parlano solo i dialetti e non si capiscono neppure tra loro. Si aspettavano una trasformazione sociale che non c'è stata. Un giornaletto napoletano, La Follia, pubblica una tiritera che ha un senso:Il popolo d'Italia- è un popolo davvero fortunato - ha la sorte del piecoro - nasce cornuto per morir scannato.
La vita di ogni giorni è abbastanza semplice.se ci si ammala, ci sono le sanguisughe, il salasso, si va a passare le acque ( gli snob a Biarritz o a Marienbad, i borghesi a Montecatini o a Chianciano); quando c'è un figlio che sta per nascere, arriva la levatrice ,con la sua valigetta, e ordina per la puerpera brodo di gallina e pane bianco. Se ci si raffredda, ecco gli impiastri, le polentine di seme di lino; in caso di svenimento, i sali per le dame e l'aceto casalingo per le ragazze povere. Ai bambini deboli, si somministra il disgustoso olio di fegato di merluzzo, con una fetta di arancia o di limone. Ai sofferenti di tisi, si consigliano orizzonti lontani: l'India, o Madera.
E finalmente, ecco il cinematografo; il 22 marzo 1895, i fratelli Lumiere presentano una pellicola di 17 metri:La sortie des Usines Lumiere à Lyon-Montplaisir.

mercoledì 22 febbraio 2012

in cammino verso la Pasqua :LA CASA DI NAZARET ( COSTANTINO NIGRA)

Presso la cuna del figliuol divino
sta filando la Vergin benedetta,
e san Giuseppe, con in man l'accetta,
acconcia il tronco d'un reciso pino.

Ma nel tepor primaverile è sceso
leggiero il sonno sulla casa pia;
caduto è il fuso ai piedi di Maria,
dorme Giuseppe sulla panca steso.

E il piccolo Gesù si leva, e il fuso
raccoglie e fila. Ma, com'ei lo tocca,
in fino argento cambiasi la rocca,
l'arida lana in fila d'oro fuso.

Poi con la pialla il duro albero monda;
come virginei ricci in torti giri,
o nastri pinti nei color dell'iri,
la ghirlanda dei trucioli il circonda.

Gli arcangeli in immensa teoria
e i fiammeggianti cherubini in coro,
miran cantando l'umile lavoro
delle mani del figlio di Maria.

Ma dei celesti messi, ecco, la voce
si muta in pianto, e si racchiudon l'ale,
poichè in man dell'artefice immortale
l'albero a un tratto s'è foggiato in croce.


martedì 21 febbraio 2012

UN GIORNO DEGLI ANNI 60...

MI FERMAI UN GIORNO
CON LO SGUARDO DI CANE
A RESPIRARE.

A RESPIRARE
IN PIAZZA GALIMBERTI
PRIMA DI PERDERMI.


lunedì 20 febbraio 2012

un " omaggio" alla grandezza della cipolla; di Wislawa Szumborska

La cipolla è un'altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.

In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d'inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla - cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell'una ecco sta l'altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un'eco in coro composta.

La cipolla, d'accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sè si avvolge in tondo.
In noi - grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
l'idiozia della perfezione.

domenica 19 febbraio 2012

DAL BELVEDERE

SONO LAGGIU'
INNEVATE LE LANGHE
TOCCANO IL CIELO.

LE VEDO BENE
E' TUTTO LUMINOSO
E CHIARA E' L'ARIA.

fotografia Piero Regio

sabato 18 febbraio 2012

UN DOLCE RICORDO DI TE ( NIKOLAUS LENAU 1802- 1850)

SULLO SPECCHIO DELLE ACQUE CALME
LA LUNA BRILLA CON TENEREZZA,
INTRECCIANDO LE ROSE PALLIDE
NEL VERDE RECINTO DEI ROSETI.

I CERVI SCORRONO SULLA COLLINA
LAGGIU', RIMIRANDO LA NOTTE.
TALVOLTA, SULL'INTRICO DEI FUSTI,
UN'ALA SI SCROLLA, SOGNANTE.

IO PIANGO, RIVOLTO AL SUOLO:
IN FONDO ALL'ANIMA SCORRE
UN DOLCE RICORDO DI TE,
UNA MUTA PREGHIERA DELLA SERA.




venerdì 17 febbraio 2012

mi guardo nello specchio

MI GUARDO NELLO SPECCHIO.

GLI OCCHI SONO LONTANI
COME COSA POSATA IN DISPARTE.

HANNO VISTO STRADE BIANCHE
MURETTI DI LUNA
HANNO VISTO MATTINI DI SOLE
COLLINE
ORIZZONTI
STANZE E CORRIDOI
OMBRE TAGLIENTI.

SI SONO FATTI PICCOLI;
HANNO IL SEGNO DEL CANTO FERITO
DELLA PAURA
DEL RICORDO IMPROVVISO.

fotografia Piero Reggio

giovedì 16 febbraio 2012

Emily Dickinson e la melodia della natura da : "Storie di insospettabili giardinieri" di D. Rattazzi ed Cairoeditore

...In vita la poetessa americana cura il giardino di casa con le sue rose, i gigli, gli hemerocallis, i garofanini, i narcisi, le fritillarie, i malvoni, gli anemoni, i piselli odorosi, le dalie, gli aster, i delphinium, le salvie e i melograni. Cagionevole di salute e sofferente di una grave malattia agli occhi, ottiene dal padre avvocato e membro del Parlamento di far costruire una piccola serra dove dedicarsi estate e inverno alla cura di piante tropicali allora rare, come il gelsomino, le gardenie, le camelie e le orchidee. Le piante selvatiche, quelle più umili in particolare, sono di gran lunga le sue preferite. Nelle sue lunghe passeggiate solitarie sulle colline di Amherst,raccoglie fiori e foglie che dispone ordinatamente in un erbario. Autrice di lettere argute e brillanti, spesso allega un fiore essiccato agli scritti e alle poesie che invia agli amici. Nell'Ottocento i fiori avevano un loro specifico linguaggio, designavano sentimenti inespressi. Emily Dickinson lo conosce, ma usa il mondo naturale, con le sue api, i suoi uccelli, i suoi fiori di campo, i suoi serpenti e i suoi prati di trifoglio, come piattaforma per giravolte e danze dell'intelletto che ruotano attorno alla sua principale preoccupazione : l'anima.
....
La Dickinson si nasconde dietro i fiori, li usa come ambasciatori, è una fine conoscitrice della botanica ma, come sottolinea l'autrice di "The Gardens of Emily Dickinson" Judith Farr, considera le piante alla stregua di esseri umani. Per lei l'erba resta attonita davanti al pallido tubo di un soffione, le rose di macchia arrossiscono nella palude, i boschi sono pieni di pianoforti, la genziana ammalia, i ranuncoli flirtano con lei, e l'ape che per la Dickinson è la traditrice per eccellenza, perchè ama un fiore e poi subito lo lascia per un altro, "sfoggia sillabe di seta e scarpa snella". "Natura è melodia" scrive la poetessa americana. Per lei "essere un fiore, è profonda responsabilità".Il mondo naturale è stato, forse, la fonte della gioia più autentica per la Dickinson che, parca come un uccellino, di briciole ha vissuto. "La fama limitata del trifoglio che solo la mucca ricorda- è meglio dei reami patinati della notorietà " annota. Pochi sono i poeti che dipingono con tanta esattezza la fioritura dei lillà, i bordi frastagliati delle genziane, il grondare della pioggia con i suoi "dolci occhi", lo schiudersi di un dente di leone, le sciarpe rosse dei pettirossi, lo scivolare di una serpe nell'erba. Nell'isolamento della sua stanza spartana, con la sua calligrafia spigolosa, scrive una poesia che sembra un testamento, la 441 ."Questa è la mia lettera al mondo/che non ha mai scritto a me-/le semplici cose che la natura ha detto - con tenera maestà/. Il suo messaggio è affidato /a mani che non posso vedere- / Per amore di lei - amici miei dolci - con tenerezza giudicate - me."


mercoledì 15 febbraio 2012

LE LANGHE E MIO PADRE

S'INNAMORO' DELLE LANGHE
MIO PADRE ;
DELLE COLLINE ,
DELLE STRADE
E DEI PAESI ARROCCATI.
COME FOSSE IL MIO
MI CADE ADDOSSO
- ORA -
QUEL SUO AMORE PERDUTO.

fotografia Piero Reggio

martedì 14 febbraio 2012

la camera da letto di Robert de Montesquiou nel palazzo paterno sul Quai d'Orsay da "Torri d'avorio " di G. Scaraffia ed Excelsior 1881

Due porte a riquadri, i vetri vergati da massime incorniciati da montanti dorati, lasciavano intravedere altre due stanze. La prima, la camera da letto, era foderata di un raso malva di diverse tonalità decrescenti. In una cornice laccata lilla si stagliava, su un vasto "kakemono"un lungo grappolo di glicine. Sul tappeto viola cupo una chimera, costruita con frammenti di legni scolpiti cinesi, faceva da letto. Dagli sportelli degli antichi armadi affioravano i fastosi gilè del dandy. Solo la toeletta "rinunciava ai simboli," limitandosi ad esporre in eleganti vetrine calze e cravatte, disposte, gli pareva, come elzeviri in una lussuosa biblioteca. Ovunque s'allungavano languidamente pittoreschi chimoni, sontuose pianete e abiti settecenteschi ricamati.Lo slancio stravagante del poeta s'attenuò con il passare degli anni e il consolidarsi della fama letteraria e mondana. "L'arredamento - proclamava - è uno stato d'animo"Quando Edmond de Goncourt visitò, nel 1891, la successiva dimora in rue Franklin, a Passy, il gusto dell'esteta era profondamente mutato. Devoto al Settecento, il diarista inorridì di fronte alla schiera di mobili Impero, arditamente mescolati alle acqueforti di Whistler e ai ritratti di famiglia. Era rimasto impressionato dal bagno, in cui il fiore preferito dal conte, l'ortensia, si ripeteva infinite volte nei più svariati materiali, nelle plastiche interpretazioni di Gallè.Un gigantesco vassoio persiano smaltato, affiancato da un immane bollitore di rame cesellato dell'Estremo Oriente, fungeva da vasca. Le tenere sfumature pastello delle molteplici cravatte occupavano una squisita vetrina, sormontata da una fotografia "un pò pederastica" di un celebre atleta in calzamaglia.

***

I suoi libri venivano pubblicati su rare carte giapponesi. Pipistrelli volavano nella filigrana dell'omonimo libro, stampato nel 1893 in seicento esemplari. Sulla rilegatura di seta azzurra, tra la luna e le stelle, svolazzavano stormi di pipistrelli. "Tutto quel che è utile "proclamava fieramente il conte " è brutto".Nello stesso anno si poteva ammirare all'esposizione dello Champ-de-Mars un inedito comò, fabbricato da Emile Gllè su disegni del dandy. Octave Mirbeau osservò le pallide ortensie blu diramarsi dolcemente tra gli ori spenti fino al piano di marmo rosa incrostato di foglie di bronzo "rubate a qualche autunno giapponese". Montesquiou, notò, sapeva infondere a tutto quel che l'attorniava una nota di stranezzaa quintessenziale: " Ha la passione dell'unico".

lunedì 13 febbraio 2012

l'appartamento di Robert de Montesquiou nel palazzo paterno sul Quai d'Orsay da "Torri d'avorio " di G. Scaraffia ed Excelsior 1881

Animali di bronzo e di maiolica vegliavano sulla moquette tinta muschio della sinuosa scala, che s'arrampicava tra una duplice fuga d'arazzi a motivi vegetali. Dai rami di questi alberi ricamati pendeva, in apparente disordine, una cascata d'antichi strumenti musicali. Dalle grate deleb finestre si vedevano solo muri ricoperti di caprifoglio. Tirando un grappolo di scimmiette di bronzo si sentiva il tintinnio campestre del campanello. I morbidi intrecci di fiori e piante, tracciati sulla cretonne da William Morris, s'estendevano, in quattro differenti tonalità, sulle pareti della sala da pranzo "rendendole quasi mobili".La luce veniva filtrata dal variopinto schermo di una collezione di vetri colorati disposti su un'etagere. I cento occhi del sapere, rappresentati dalle penne di pavone impresse sul cuoio verde e oro della biblioteca, fissavano il dono della splendida cugina, la contessa Greffulhe,un cofanetto di cuoio verde pieno dei manoscritti ancora inediti del poeta. La forma sbilenca del locale attiguo, popolato di minuscoli mobili, veniva esaltata dalle infinite ragnatele d'oro che si sviluppavano sullo sfondo vermiglio del cuoio.
La diversità delle sfumature sulle tre pareti più illuminate del salotto suscitava una sorta d'illusione ottica.Un tessuto rosso granata sulla quarta e sul basso soffitto creava uno sfondamento illusorio.Il diafano raggio dorato dei vetri inglesi "dava la sensazione di sentirsi chiusi in una di quelle scatole di lacca dai diversi toni d'oro".Il parquet scompariva sotto "l'onda corallina" di un tappeto persiano, su cui galleggiavano basse sedie incannucciate o laccate, sgabelli,tavoli alati stile impero, stipi incrostati d'avventurina, cache-pots di smalto rosato zeppi di giacinti della stessa tinta. L'oro scintillante di due paraventi rifletteva e assorbiva i toni purpurei della stanza, allietandola. La stanza seguente era dedicata alla luna. La finestra era inquadrata da una parete blu notte. Una polvere dorata si posava sulla stoffa grigia a minuti disegni della parete di fronte. Il camino si stagliava sul cuoio argentato cosparso di ramicelli azzurri, su cui pesci dipinti su una garza trasparente, sospesa per tutta la lunghezza del muro, simulavano l'acqua. L'ultima parete era fasciata da un velluto grigio topo, prolungato sul pavimento da un tappeto su due toni di grigio. "Somigliava al suolo dei viali, su cui le foglie fanno muovere le ombre."
Qua e là alcuni "kakemonos" ospitavano paesaggi fantastici. Le stoffe iridescenti, che riempivano un cofano di cristallo, lo tramutavano in un morbido blocco di marmo dolcemente venato. Un cono vitreo "alto come un giovane schiavo", brandiva un iris di Susa o un ciuffo di muschio, mentre un mandolino d'avorio, sospeso al muro, sembrava ergere le sue antenne verso "l'astro lattiginoso."

sabato 11 febbraio 2012

GIARDINO (SERGIO SOLMI 1899-1981) per sognare la primavera

L'IRIDATO
GETTO CHE IL VENTO OBLIQUA E SFRANGIA, VELA
PER UN ISTANTE IL PAESAGGIO
LO APPANNA COME UNA MEMORIA.
POI DI COLPO S'IMPRIMONO
NELLA STILLANTE ARIA IL FICO, IL NESPOLO
DEL GIAPPONE, ARDE IL CHIARO
DELIQUIO DELLE ROSE. A SOMMO
DEL MURO GLI ARCHI DEL LOGGIATO, LE
PERSIANE VERDI E NERE
S'INSEGUONO, PIU' SU LA FUGA ILARE
DEI MELI SCENDE A PICCO, SCENDONO
MONTI E OMBRE DI MONTI.
BELLEZZA UN POCO CRUDA, NON MIA FORSE,
E TROPPO MIA,
COME UNA SPADA LAMPEGGIANTE UN GIORNO
MI FERISTI NEL SONNO ADOLESCENTE,
DENTRO T'EBBI A NON FARMI PIU' DORMIRE.


fotografia Piero Reggio

venerdì 10 febbraio 2012

SONO UN GUERRIERO

NON SONO UN PITTORE, NON POTREI
NON SONO UN MUSICISTA, SONO UN GUERRIERO.
DIPINGO
SUONO, PER UN RESPIRO PIU' PROFONDO
PER UN ATTIMO DI QUIETE.
PER L'AMORE
CHE DIVIENE ROSSO LACCA
O RE MAGGIORE
PER UNA NOTTE SERENA.
SONO UN GUERRIERO
LA MIA MUSICA MUORE
I MIEI QUADRI RESTANO FERITI.


fotografia Piero Reggio

giovedì 9 febbraio 2012

CHI NON CONOSCE UNO COSI'? : L'INTENDITORE DI BICICLETTE (JEROME K. JEROME) ultima parte

Ne trovammo undici. Ne fissammo sei da un lato e cinque dall'altro, e mezz'ora più tardi la ruota era di nuovo a posto. E' inutile aggiungere che ora ballava veramente; anche un bambino l'avrebbe visto. Ebbson disse che per il momento essa poteva andare. Anche lui pareva si fosse stancato. Se l'avessi lasciato fare, scommetto che a quel punto se ne sarebbe andato a casa. Io invece, allora, ero risoluto a farlo fermare e finire; avevo abbandonato ogni pensiero di gita. L'orgoglio che avevo della macchina m'era stato soffocato da lui. La mia sola speranza consisteva ora nel veder l'amico graffiarsi, pigliarsi degli urti, sentirsi pizzicare alle mani. Ravvivai i suoi cadenti spiriti con un bicchiere di birra e qualche lode giudiziosa e dissi: "Osservarvi lavorare m'è di grande soddisfazione. Non solo m'affascina la vostra abilità, la vostra destrezza, ma mi fa bene la vostra lieta fiducia in voi stesso, la vostra inesplicabile speranza".
Così incoraggiato, si mise al lavoro per fissare il carter. Egli stava con la bicicletta rivolta verso la casa, e lavorava dal lato esterno. Poi si mise verso un albero, e lavorò dall'altro lato. Poi tenni io la bicicletta, mentre lui se ne stava a terra con la testa fra le ruote, e lavorava di sotto, versandosi dell'olio addosso. Poi mi tolse la macchina, e vi si stese di traverso come un basto, ma perse l'equilibrio e scivolò a testa in giù. Disse tre volte: " Grazie al cielo, finalmente va bene" E disse due volte: "No, maledizione, non ancora"
Cerco di dimenticare ciò che disse la terza volta. Poi montò in bestia e si provò a maltrattare la macchina. La bicicletta, fui lieto di vederlo, mostrò dello spirito; e le azioni susseguenti degenerarono in poco meno di una mischia fra lui e la macchina. Un momento la bicicletta voleva essere sul viale di ghiaia, e lui a cavallo della bicicletta poi la posizione veniva rovesciata... lui sul viale di ghiaia e la bicicletta su di lui. Poi lui steso di sopra, acceso dalla vittoria, con la bicicletta saldamente inforcata fra le gambe. Un trionfo di breve durata. Con un improvviso rapido movimento, la bicicletta si liberò, voltandosi su di lui e picchiandolo vivamente in testa con un manubrio.All'una meno un quarto, sudicio e rabbuffato, ferito e sanguinante, egli disse:" Credo che vada" - e si levò asciugandosi la fronte.
La bicicletta aveva l'aspetto anch'essa di averne abbastanza. Quale dei due fosse più punito sarebbe stato difficile dire. Io lo condussi nella retrocucina, dove in quanto fu possibile senza soda e strumenti adatti, lo feci ripulire e lo rimandai a casa.
Misi la bicicletta in una vettura e la portai dal meccanico più vicino. Il capo dell'officina s'avvicinò a guardarla:"Che volete che faccia con questo macinino?"- mi disse.
"Che lo ripariate fin dove è possibile " -dissi.
" E' troppo malandato - disse - ma farò del mio meglio."
Egli fece del suo meglio, e lo fece ammontare a due sterline e mezzo. Ma non era più la stessa macchina; e alla fine della stagione la lasciai nelle mani di un rigattiere perchè me la vendesse. Io non volevo ingannare nessuno; e avvertii il rigattiere di dire che era una macchina dell'anno scorso. Il rigattiere mi consigliò di non menzionare alcuna data. Disse:"In questa faccenda non si tratta di ciò che è vero e di ciò che non è vero: si tratta di ciò che si può far credere alla gente: Ora, detto fra noi, non pare che sia dell'anno scorso: per quanto riguarda l'aspetto potrebbe avere dieci anni. Non diremo nulla della data, cercheremo di cavarne quel che si potrà."
Lasciai fare a lui, ed egli ne fece cinque sterline, dicendomi che era molto più di quanto aveva sperato.


mercoledì 8 febbraio 2012

CHI NON CONOSCE UNO COSI'? : L'INTENDITORE DI BICICLETTE (JEROME K. JEROME) 2 parte

Egli poi disse che, giacchè ci si trovava, avrebbe esaminato la catena e subito cominciò a togliere il carter. Provai a persuaderlo di non farlo. Gli dissi ciò che un amico di grande esperienza una volta mi aveva raccomandato :" Se qualche cosa non va nel carter, vendi la macchina e comprane una nuova;ti costerà di meno"
Egli disse:" Parlano così quelli che non si intendono di macchine. Non c'è nulla di più facile che togliere un carter".
Dovetti confessare che aveva ragione. In meno di cinque minuti il carter giaceva in due pezzi a terra, ed egli strisciava con le mani e coi piedi cercando le viti. Aggiunse che gli era sempre rimasto un mistero il modo come sparivano le viti.
Stavamo ancora cercando le viti, quando apparve Etelberta. Sembrò sorpresa di trovarci lì; credeva che fossimo partiti da un secolo.
Egli disse:" Fra poco. Sto appunto aiutando vostro marito a mettere in ordine la macchina. E' una buona macchina; ma tutte debbono essere di tanto in tanto regolate."
Etelberta disse: " Se volete lavarvi quando avrete finito, potrete, se non vi dispiace, andare nella retrocucina: le donne hanno appunto adesso terminato di riassettare le stanze."
Ella mi disse che se incontrava Caterina probabilmente avrebbero fatto una gita in barca: ma che in qualunque caso lei, per l'ora della colazione, sarebbe stata di ritorno. Io avrei pagato una sterlina per andare con lei . Mi sentivo veramente male a star lì impalato a guardare quello sciocco che mi rompeva la bicicletta.
Il senso comune continuava a bisbigliarmi:" Fermalo, prima che commetta qualche malanno. Tu hai il diritto di difendere la tua proprietà dagli assalti di un matto. Afferralo per la collottola, e buttalo a calci fuori dal cancello".
Ma io sono debole quando si tratta di offendere i sentimenti altrui e lo lasciai fare.
Egli rinunziò a cercare il resto delle viti. Disse che le viti avevano l'abitudine di presentarsi quando meno si aspettavano; e che intanto avrebbe pensato alla catena. La strinse finchè essa non si potè più muovere: poi l'allentò finchè non fu due volte più lenta di prima. Poi disse che era meglio rimettere a posto la ruota anteriore.
Io tenni aperta la forcella, ed egli si affaccendò intorno alla ruota. Dopo dieci minuti gli suggerii di tener lui la forcella: alla ruota ci avrei pensato io; e cambiammo di posto. Alla fine del primo minuto egli lasciò cadere la macchina, e fece una passeggiatina sullo spiazzo del croquet con le mani strette insieme fra le cosce. Spiegò, mentre passeggiava così, che bisognava stare attenti a non farsi male alle dita tra la forcella e i raggi della ruota. Risposi ch'ero persuaso, per esperienza, della verità di ciò che diceva. Si fasciò con un paio di stracci e ricominciammo di nuovo. Finalmente riuscimmo a mettere la ruota a posto, e nel momento che era a posto, egli scoppiò in una risata.
Dissi: " Che cosa c'è?"
Egli disse: "Sapete, sono un somaro!"
La prima cosa che diceva che m'inducesse a rispettarlo. Gli chiesi che cosa lo avesse condotto a quella scoperta.
"Abbiamo dimenticato i pallini!" - rispose.
Cercai il cappello; giaceva rovesciato in mezzo al viale, e il diletto levriero di Etelberta inghiottiva i pallini con la rapidità con cui li raccoglievamo.
"Si ucciderà - disse Ebbson... Non l'ho mai più incontrato da quel giorno, grazie a Dio; ma credo che si chiamasse Ebbson - sono di solido acciaio:"
Io dissi: "Non m'importa del cane. S'è già mangiato in questa settimana un laccio da scarpe e un pacchetto di aghi. La natura è la guida migliore; i piccoli levrieri par che abbiano bisogno di questa specie di stimolanti. E' la bicicletta che m'importa"
Egli era d'indole allegra, e disse: "Bene, rimetteremo tutti quelli che potremo trovare, e per il resto confidiamo nella Provvidenza"


martedì 7 febbraio 2012

CHI NON CONOSCE UNO COSI'? : L'INTENDITORE DI BICICLETTE (JEROME K. JEROME) 1 parte

Vi era un tale di Folkestone che io solevo incontrare spesso. Egli mi propose una sera di fare il giorno seguente una lunga passeggiata insieme in bicicletta, e io dissi di sì. Per conto mio mi alzai presto; feci uno sforzo, e ne fui contento. Egli giunse una mezz'ora più tardi: io lo aspettavo nel giardino. Era una bella giornata. Egli mi disse: " Veggo che avete una bella macchina. Come va?" - "Ah, come tutte le altre! - risposi - abbastanza facilmente la mattina; un pò più lenta dopo colazione". Egli l'afferrò per la ruota anteriore e la forcella, e la scosse violentemente.
Dissi: " Badate:la rovinerete"
Non capivo perchè dovesse scuoterla: essa non gli aveva fatto nulla. Poi, se aveva bisogno di essere scossa, ero io la persona designata a scuoterla. Sentivo come se si fosse messo a picchiarmi il cane.
Egli disse:" Questa ruota balla"
Dissi: "Non ballerebbe, se voi non la faceste ballare"
Essa non ballava infatti ... non c'era nulla che invitasse al ballo.
Egli disse :" E' pericoloso; avete un cacciavite?"
Io non avrei dovuto commuovermi; ma pensavo che realmente, forse, si intendeva un pò del mestiere. Corsi al ripostiglio degli strumenti per vedere ciò che c'era. Quando ritornai, lo trovai seduto in terra con la ruota anteriore fra le gambe, nell'atto di trastullarcisi e farla scorrere leggermente fra le dita. Il resto della macchina giaceva sul viale di ghiaia accanto.
Egli disse: " A questa ruota è accaduto qualche cosa"
" Vi pare?" risposi.
Ma egli era di quella categoria di uomini che non hanno mai dubbi.
" A me pare - egli disse - che abbia i pallini guasti"
Io dissi : " Non ve ne preoccupate: vi stancherete. Rimettete la ruota a posto e partiamo"
Egli disse : " Giacchè è staccata, è meglio vedere che cos'ha"
Parlava come se si fosse staccata per disgrazia.
Prima che potessi impedirglielo, aveva svitato qualche cosa in qualche parte, e vidi rotolare sul viale una dozzina di pallini d'acciaio.
" Acchiappateli! - egli gridava - acchiappateli! Non dobbiamo perderne neppur uno " - gridava eccitatissimo.
Girammo curvi per mezz'ora, e ne trovammo sedici. Egli disse che sperava fossero tutti, perchè, se no, sarebbe stato un bel danno per la macchina. Aggiunse che non vi era nulla che richiedesse tanta attenzione nella scomposizione di una bicicletta, quanto la cura dei pallini. Spiegò che bisognava contarli all'atto di trarli fuori e curar che fossero rimessi a posto nello stesso numero. Promisi , se mai scomponessi una bicicletta, di far tesoro dell'avvertimento.
Misi i pallini, per maggior sicurezza, nel cappello, e posai il cappello sui gradini dell'ingresso. Ammetto che quello non fu  un tratto di prudenza. Anzi fu una vera sciocchezza. Di regola non sono scervellato; dovetti agire sotto l'influsso del compagno.


lunedì 6 febbraio 2012

domenica 5 febbraio 2012

una poesia sulla poesia di J. W. Goethe (1749-1832)

Son simili a finestre istoriate
le Poesie : finestre che, guardate
dalla piazza alla chiesa, apron sui muri
una fila di buchi nudi e scuri.
E le guarda così la buona gente,
e dice poi che non ci vede niente.
Ma su, una volta alfine, penetrate
per la porta del tempio, e là guardate!
Ecco, figure e scene, e cielo e mare,
tutto nei vetri luminoso appare.
Creature di Dio, semplici e liete,
gli occhi allegrate e l'anima pascete!


sabato 4 febbraio 2012

NUOVO INIZIO

NON TORNERO'
AL PUNTO DEL NAUFRAGIO
RELITTO
CHE SI CONSUMA NEL TEMPO.
NON BRUCERO'
CITTA' DENTRO IL CUORE.
SU PAZZI SOGNI
APRIRO' FINESTRE
VIVRO' IL SEME CHE MUORE
E ASPETTERO' LA SERA
CHE MI CONSUMI.


fotografia Piero Reggio

venerdì 3 febbraio 2012

Per dimenticare il gelo : I GIARDINI DEL POETA "A Juan Ramon Jimenez" di ANTONIO MACHADO (1875-1939)

GIARDINIERE E' IL POETA. FINE BREZZA
SCORRE NEI SUOI GIARDINI
CON ACCORDI STRUGGENTI DI VIOLINI,
LACRIME DI USIGNOLI,
ECHI DI VOCI ASSENTI E CHIARE RISA
DI GIOVANI CHE PARLANO D'AMORE.
POSSIEDE ALTRI GIARDINI. LA' UNA FONTE
GLI DICE: TI CONOSCO E TI ASPETTAVO.
EGLI NELL'ONDA DIAFANA MIRANDOSI:
SONO APPENA COLUI CHE GIA' SOGNAVA!
POSSIEDE ALTRI GIARDINI. I GELSOMINI
SOSPIRANO VERBENE DELL'ESTATE
E SON CETRE D'AROMA QUEI GIARDINI,
DOLCI CETRE CHE TOCCA IL FREDDO VENTO.
E TRASCORRONO L'ORE SOLITARIE
E GIA' LE FONTI, CON LA LUNA PIENA,
SOSPIRANO CANTANDO SOPRA I MARMI,
NELL'ARIA OVUNQUE SOLO L'ACQUA SUONA.

fotografia Piero Reggio

giovedì 2 febbraio 2012

in memoria della grande poetessa Wislawa Szymborska premio Nobel nel 1996 morta a Cracovia a 88 anni

IL GATTO IN UN APPARTAMENTO VUOTO

Morire - questo a un gatto non si fa.
Perchè cosa può fare il gatto
in un appartamento vuoto?
Arrampicarsi sulle pareti.
Strofinarsi tra i mobili.
Qui niente è cambiato,
eppure tutto è mutato.
Niente sembra spostato,
eppure tutto è fuori posto.
E la sera la lampada non brilla più.

Si sentono passi sulle scale,
ma non sono quelli.
Anche la mano che mette il pesce nel piattino
non è quella di prima.

Qualcosa qui non comincia
alla sua solita ora.
Qualcosa qui non accade
come dovrebbe.
Qui c'era qualcuno, c'era,
poi d'un tratto è scomparso
e si ostina a non esserci.

In ogni armadio s'è guardato.
Sui ripiani si è corso.
Sotto il tappeto si è controllato.
Si è perfino infranto il divieto
di sparpagliare le carte.
Che altro si può fare.
Aspettare e dormire.

Che lui provi solo a tornare,
che si faccia vedere.
Imparerà allora
che con un gatto così non si fa.
Gli si andrà incontro
come se proprio non se ne avesse voglia,
pian pianino,
su zampe molto offese.
E all'inizio niente salti nè squittii.

mercoledì 1 febbraio 2012

UN'ORA DI FEBBRAIO ( EMILY DICKINSON 1830-1886)

BIANCA COME UNA PIPA INDIANA -
ROSSA COME LA LOBELIA -
MAGICA COME LUNA A MEZZOGIORNO
UN'ORA DI FEBBRAIO.


fotografia Piero Reggio